PILLOLA DELLA DOMENICA

Il monaco, il giovane e l’asino

Tanto tempo fa un santo monaco aveva con sé un allievo, un ragazzo molto attento e ubbidiente. Un giorno lo chiama e gli dice: «Vai a prendere l’asino e andiamo in città». Il giovane prende l’asino, aiuta l’anziano monaco a salirvi e si avviano verso la città, il monaco in groppa all’asino e il ragazzo a piedi. Alla prima svolta incontrano un gruppo di persone. Qualcuno, naturalmente, ha qualcosa da ridire: «Ma guarda quanto è infingardo quel vecchio monaco: lui a cavallo, e quel povero ragazzo così gracile e delicato lasciato a piedi!». Il vecchio monaco, appena udite queste parole, scende dall’asino, vi fa salire il ragazzo e tutti e tre si rimettono in cammino. Poco più avanti incontrano altre persone: «Oh, guarda cosa si deve vedere. Un giovane sano e robusto a cavallo e un povero vecchio a piedi. Non c’è più rispetto, non c’è più carità». A queste parole il ragazzo salta giù dall’asino, aiuta l’anziano monaco a salirvi di nuovo, risale anche lui e proseguono verso la città. Strada facendo, altra gente, altri commenti: «Guarda quella povera bestia! Fra poco morirà stremata, sotto il peso di quei due fannulloni! Ci vorrebbe almeno un po’ di pietà». Il santo monaco e il ragazzo, allora, scendono in silenzio e proseguono il cammino a piedi. Ma qualcuno non è ancora soddisfatto: «Guardate, guardate… S’è vista mai una cosa più sciocca? Quei due hanno l’asino, e vanno a piedi!». A questo punto l’anziano monaco dice al ragazzo: «Torniamo a casa».

Strada facendo gli spiega: «Hai capito la lezione, figliolo? Per quanto ti sforzerai di assecondare gli altri, ci sarà sempre qualcuno che avrà qualcosa da ridire. E allora tu impara a tirar diritto per la tua strada e a non prestare ascolto alle chiacchiere della gente».

Dal vangelo secondo Matteo (13,24-43) – (forma breve Mt 13,24-30)

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

PAROLA DEL PARROCO

C’è un tempo in cui non abbiamo scuse. Lungo l’anno, spesso ripetiamo questo ritornello: “Non ho tempo”. Siamo presi dalle urgenze, siamo di corsa. Ogni giorno l’agenda ci riempie le ore, i minuti. Il lavoro, gli impegni, ci riempiono il tempo. E dunque fatichiamo ad avere tempo per le relazioni. Arriviamo a sera “cotti”, abbiamo ancora da fare la spesa, preparare cena, vedere i compiti dei bambini, aggiustare la lampada che si è rotta… E preparare il lavoro del giorno dopo. Stanchi crolliamo nel sonno. Per ripartire di corsa, fare la colazione al volo, portare i figli a scuola, arrivare puntuali sul posto di lavoro. Non ci resta tempo per altro. Ma in vacanza, che spero ognuno di voi possa ritagliarsi, almeno qualche giorno, non ci sono scuse. In vacanza, nelle ferie, ho tempo. Lo chiamiamo “tempo di riposo”, “tempo di svago”, “tempo libero”, tempo libero dagli impegni. Tempo “vuoto”, che posso dedicare alle relazioni. In vacanza non ho scuse. Devo avere tempo per moglie, marito, figli, genitori, nonni, amici, parenti, vicini. La vacanza dovrebbe essere proprio il tempo “delle relazioni”. Non un tempo “vuoto”, ma un tempo “pieno di altri”. Un tempo per prenderci cura dell’altro, compresi coloro che faticano: malati, poveri, emarginati, soli. Un tempo per “esporci”, per spingerci oltre noi stessi, per regalare tempo, attenzione, ascolto, ospitalità.

Estate, vacanze, periodo, per passare del tempo con qualcuno. Non come abitudine o come passatempo, ma come opportunità per “giocarci”, per “spenderci”. Giorni, ore, minuti, per allenarci all’ascolto, all’accoglienza, alla stima, al perdono.

L’estate, le vacanze, periodo per passare del tempo e dello stupore. Il settimo giorno della creazione, Dio si riposò e stette a guardare con meraviglia il creato ripetendo: “Che bello!”. Le vacanze dovrebbero risvegliare in noi questo stesso stupore. Giorni per accorgerci di tutto ciò che ci circonda, ammirarlo, ringraziare. E accoglierlo come dono. Iniziando dalle persone. Giorni in cui ho tempo per guardare mia moglie con stupore, ritrovare i suoi aspetti belli e ringraziare. Giorni per guardare i miei figli con stupore, ritrovare i loro aspetti belli e ringraziare. Giorni in cui ho tempo per stupirmi del sole, del tramonto, dei fiori, del pane che mangio. Giorni in cui posso mangiare con calma e ringraziare per il cibo e le persone che stanno a tavola con me. Tempo per “lasciar venire a noi le cose”, per ammirarle, per gioirne. Proprio vissuto così, diventa un tempo di Festa.

Dove l’altro è la nostra festa. Io lavoro per essere “festa per gli altri”. Ed allora scoppia davvero la Festa. Come dovrebbe essere la domenica. Giorno in cui riscopriamo il Risorto come “Festa per noi”. Giorno in cui non abbiamo scuse, cioè abbiamo tempo per “allenarci a vederLo presente”. Lui è davvero il costruttore della festa, perché è il “costruttore di legami”. In Lui scopriamo la voglia di giocarci. E riscopriamo l’altro come fratello, come sorella.

Pensiamo alla Messa, soprattutto quella domenicale, che in vacanza, come cristiano, dovrebbe avere un tempo privilegiato. La Messa, un tempo da mettere al centro e non dimenticare. Un tempo che ci allena a vedere il Risorto presente ogni giorno e ci allena a riscoprire che ogni essere umano è nostro fratello.

La Messa, momento in cui possiamo scorgere il Paradiso, cioè la Festa dove tutti saremo fratelli. Per sempre. La Messa ci insegna tre verbi molto concreti: lodare, ringraziare, benedire.

“Lodare” significa vedere le cose belle nell’altro e gioirne. È il contrario di “invidiare”.

“Ringraziare “significa vedere le cose belle in noi e riconoscere che non sono solo merito nostro, sono un dono. Ed esserne grati. È il contrario di “brontolare” o di “imporre se stessi”.

“Benedire” è la capacità di vedere cose belle ovunque attorno a noi e dirle. È il contrario di “maledire”, cioè della tendenza a raccontare sempre le cose brutte e lamentarci.

Per costruire relazioni occorre essere capaci di lodare, ringraziare, benedire. Occorre saper vedere le cose belle dell’altro, esserne felice, saper stimare l’altro e le sue ragioni. Occorre non essere pieni di noi, non essere pretenziosi, ma umili e grati. Occorre essere capaci di vedere le cose belle, di portare fiducia e speranza. Le vacanze sono il tempo giusto per allenarci a lodare, ringraziare, benedire. La Messa è il rito adatto per allenarci in questo sport che ci porta, giorno dopo giorno, a generare e rigenerare le nostre relazioni.

don Claudio

Questa settimana parliamo di….

Incontro con don Gianmarco Pernice

Continuiamo la presentazione dell’intervista a don Gianmarco apparsa sul Bollettino Salesiano.

 Che cosa ti dà più soddisfazione?

La missione sulla strada con i ragazzi più poveri e bisognosi ci porta a vivere pienamente il cuore del carisma salesiano delle origini. Se Valdocco è il primo oratorio e noi siamo il secondo oratorio che don Bosco ha fondato, la strada è l’oratorio “numero zero”, l’inizio di tutto!

Quali sono le difficoltà?

Il vissuto dei nostri ragazzi è spesso traumatico: adulti che li hanno feriti, utilizzati, abbandonati, sfruttati per i loro interessi, adulti che spesso li hanno costretti ad affrontare un viaggio che ha messo a rischio la loro stessa vita. Per difendersi da tutto questo tirano su barriere relazionali, si chiudono in loro stessi, si armano di una corazza apparentemente impenetrabile, agiscono con violenza per difendersi da un passato che li ha feriti nel profondo dell’animo facendo perdere loro la speranza. La difficoltà più grande è quindi quella di far capire loro che possono fidarsi di noi come adulti di riferimento che possono aiutarli a sognare un futuro migliore.

Quali sono i tuoi piani per il futuro?

Fare di tutto per salvarne uno in più ogni giorno.

Un modo per conoscerlo e per ringraziarlo della sua presenza in mezzo a noi in questi anni. Infatti da settembre gli sarà affidato un nuovo impegno come direttore all’oratorio di Cascine Vica (Rivoli)

“Quello che conta davvero” Lettera pastorale di mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, sul futuro delle Chiese di Torino e Susa

Quello che conta davvero

Carissimi fratelli e sorelle delle diocesi di Torino e Susa,

il Vangelo di Luca riporta alcune parole di Gesù piuttosto decise e dure. «Diceva ancora alle folle: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”» (Lc 12,54-56).

Quanto Gesù lamenta è il fatto che chi lo ascolta vede ciò che accade esteriormente, ma è incapace di leggere in profondità il tempo che sta vivendo: il tempo della vicinanza e della presenza di Dio, quello del compimento della promessa, il momento unico dato dal fatto che il Figlio di Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi.

Questa parola di Gesù non è rivolta solo ai suoi contemporanei, ma è indirizzata anche a noi. Anche oggi la Chiesa è chiamata a riconoscere la presenza viva di Cristo, per lasciarsi guidare da Lui: non esiste nessun tempo, neppure il nostro, che non sia bello e fecondo in quanto Cristo è presente, ci conduce e guida l’umanità intera.

Anche oggi, dunque, siamo chiamati a domandarci con sincerità, fiducia e docilità: che cosa sta accadendo? Quali cambiamenti stanno investendo la vita della Chiesa e quella di noi cristiani? Più in profondità, dobbiamo chiederci: dove ci sta conducendo Cristo? Quali passi dobbiamo compiere per poter dire con onestà di essere ancora alla sua sequela?