Notizie dalle Parrocchie: commemorazione dei fedeli defunti

 

E’ il giorno in cui la Chiesa ci invita a ricordarci dei morti, di “tutti” i fedeli defunti (cioè di coloro che hanno creduto in Dio). E’ il giorno in cui in particolare facciamo memoria dei nostri cari, per rinnovare i sentimenti di riconoscenza che dobbiamo loro. Ma ricordarli da credenti significa anzitutto ringraziare il Signore per la vita che ha donato loro, per tutte le grazie che essi hanno ricevuto da Lui.

 

Ringraziarlo per tutto il bene che essi hanno fatto nella loro vita ed essere riconoscenti al Signore per tutto il bene che essi ci hanno donato. E ciò è sottolineato anche da alcuni segni che esprimono il nostro affetto nei loro confronti, quali la visita al cimitero, la deposizione di fiori, la cura che mettiamo nel mettere in ordine le tombe. Ricordo che ci mette anche davanti al mistero della morte. Tocca tutti! Qualche persona cara: marito, moglie, figlio, figlia, un amico, un conoscente. Toccherà anche a noi! Anche se spesso preferiamo non pensarci. Mistero che per noi cristiani è illuminato dalla fede nel Signore Risorto e quindi da fiduciosa speranza nella promessa di Gesù Cristo, “Io sono la risurrezione e la vita”, per cui, come ci ricorda San Paolo, “il cristiano non muore, la sua vita è trasformata!”. La morte non è l’ultima parola sulla sorte umana, perché l’uomo è destinato ad una vita senza limiti che ha la sua radice e il suo compimento in Dio. Speranza che diventa certezza per il cristiano, perché anche noi chiamati a risorgere come Cristo è risorto; ma soprattutto dice a noi che la morte non separa, ma riunisce presso Dio e in Dio. Soprattutto un ricordo che si fa preghiera. E’ il ricordo più bello! Sant’Agostino diceva: «una lacrima per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo». E la tradizione della Chiesa ha sempre esortato a pregare per i defunti, in particolare offrendo per loro la celebrazione dell’Eucarestia. È il miglior aiuto spirituale che possiamo dare alle loro anime, soprattutto alle più abbandonate, proprio per quella comunione al Corpo Mistico della Chiesa di cui ognuno di noi è parte viva e, come tale, responsabile anche delle altre membra, degli altri, vivi e morti. Ma fede, speranza, certezza fanno sì che il ricordo diventi impegno. L’incontro con la morte, che san Francesco chiamava “sorella morte”, che è incontro con l’abbraccio misericordioso, pieno di affetto e di amore del Padre, è un incontro da preparare fin da oggi, con il nostro impegno, la nostra conversione continua di ogni giorno. Significa accogliere la parola di Cristo, riconoscere il proprio peccato, rimettersi umilmente in cammino, illuminati e guidati da questa Parola e attraverso la nostra vita di cristiani vissuta in pienezza nell’amore verso il Signore e verso i fratelli, attraverso l’attenzione, il servizio, la disponibilità, l’accoglienza e il perdono vicendevole.

don Claudio

 

 

Notizie dalle Parrocchie: perchè far celebrare le Messe per i defunti?

 

 

Ci avviciniamo alla festa dei Santi e alla Commemorazione dei cari defunti. E’ il momento del ricordo,  per rinnovare i sentimenti di riconoscenza, gratitudine verso di loro, che significa anzitutto dire grazie al Signore per la vita che ha loro donato, per tutte le grazie che essi hanno ricevuto da Lui, per tutto il bene che essi hanno fatto nella loro vita, ma anche riconoscenza per tutto il bene che essi ci hanno donato. Ma questo è anche  il momento in cui da molte persone giunge la domanda: “Perché far celebrare le Messe per i defunti?”.

Provo a rispondere.

 

Già nell’Antico Testamento si parla della preghiera per i defunti affinché “siano assolti dai loro peccati“; ciò a proposito di soldati morti in battaglia tra le cui vesti erano stati trovati oggetti rubati. Questo passo (dal secondo libro dei Maccabei 12,45) è uno dei pochi  riferimenti dell’Antico Testamento. La Chiesa però, fin dagli inizi, ha sempre favorito la preghiera in suffragio dei defunti come espressione di un legame d’affetto nella fede che ci lega a quanti sono morti. Sant’Agostino, nelle Confessioni, la sua autobiografia, riferisce questo episodio:  sua madre, Santa Monica, prima di morire gli aveva raccomandato: “Seppellite pure questo mio corpo dove volete, senza darvi pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, dinanzi all’altare del Signore“. Era il 27 agosto 387, quindi nel primo periodo dell’era cristiana.

Quando moriamo e ci presentiamo davanti a Dio, possiamo vivere per sempre con lui. Ma se in noi ci sono ancora tracce di egoismo, di invidia, di gelosia, in una parola di “non-amore”, abbiamo bisogno di essere purificati, di fare cioè “pulizia” di ciò di cui nostri peccati lasciano traccia nel nostro spirito. Abbiamo chiamato questo stato con il nome di purgatorio, che non è un luogo immerso fra le nuvolette, a metà strada fra la terra e il paradiso, dove si chiacchiera e si beve il caffè come mostra una pubblicità.

Questa “pulizia” può essere anticipata in vita con le preghiere, le opere di misericordia corporale e spirituale, l’affrontare con pazienza e rassegnazione le sofferenze  e i contrattempi della vita.

Con la morte i giochi sono fatti, non possiamo più pregare  o fare altro per noi stessi. Nell’aldiquà però chi è vivo può aiutare (= suffragare) i defunti in questa eventuale  opera di purificazione. Come? Destinando ad essi quello che -scrivevo sopra –  si può fare per se stessi quando si è in vita.

La nostra preghiera può aiutarli. Anche san Paolo in una sua lettera dice che è un gesto salutare. Chiediamo al Signore di perdonarli di tutto il male commesso e di accoglierli nel suo Regno di pace e di giustizia, il più in fretta possibile… anche se in cielo non credo che esistano gli orologi, il presto o il tardi non sono categorie che gli appartengono!

In particolare, l’azione più grande ed efficace è la Messa, nella quale Gesù, unico mediatore, intercede presso il Padre celeste per  i viventi e i defunti; Egli, che ha affrontato e vinto la morte ed è il Vivente. Egli ha preso su di sé tutti i peccati, di tutti gli uomini, viventi o defunti che siano. Ogni Messa è sempre il rinnovarsi della Pasqua di Morte e Resurrezione di Gesù Cristo.

In Lui, spiritualmente, ci mettiamo in relazione  con i nostri  cari viventi o defunti. È un dono che viene elargito per questi fratelli nella speranza, ossia nell’atto dell’affidarsi al Dio fedele ed affidabile, Colui che non abbandona la nostra vita nel sepolcro (cf. Sal 15).

È proprio all’interno di questa assoluta gratuità che – e non appaia contraddittorio – si deve collocare il significato e il valore dell’eventuale offerta economica per la celebrazione. Essa non è il “pagamento” della Santa Messa che altrimenti si ridurrebbe ad un servizio religioso remunerato, bensì un segno che rafforza la gratuità del dono. L’eventuale offerta in denaro non paga il servizio, ma ne è segno, è un modo “umano” per dichiarare che quell’atto d’amore coinvolge veramente colui che dona. L’amore alimenta sempre l’amore, in qualsiasi forma concreta e storica si esprima.

don Claudio

 

Notizie dalle Parrocchie:Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto

 

Con questa domenica concludiamo le celebrazioni delle “Prime Comunioni” che hanno accompagnato le Messe di questo mese, e con esso concludo anche questo cammino di riscoperta dell’Eucaristia come “fonte viva” per la vita delle nostre famiglie. La consacrazione, la comunione. Il Signore che si offre per me, si fa cibo, “pane spezzato”, rende viva e attuale la sua offerta d’amore per me, il suo morire in croce, l’offrire la sua vita per amore. Si fa mangiare da noi per rendersi presente e vivo nella nostra vita. Il Signore che desidera entrare nella nostra vita, entrare nella nostra casa, per aiutarci ad amarci “da Dio” (cioè secondo l’amore autentico che è quello del Signore). Questo dovrebbe essere lo stile autentico di vivere in famiglia. Lo stile di una famiglia in cui ci si vuole bene, ci si ama. Il diventare, cioè, pane spezzato per l’altro, il farsi mangiare dall’altro. E’ il donarsi autenticamente agli altri che realizza l’amore autentico, e questo mettendo tutto il nostro sforzo nell’accoglierci, nel rispettarci, nell’ascoltarci e parlarci in modo sincero, nel servirci. Possiamo esprimere tutto questo così: “Volete sapere come ci ama Dio? Guardate una famiglia dove ci si vuole bene”. Da qui il compito affidato ad ogni famiglia, soprattutto ad una famiglia cristiana, compito che Giovanni Paolo II, nella “Familiaris Consorti”, riassume nella “missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore”. “Custodire” l’amore tra di loro; “rivelare”, attraverso il loro amore, l’amore di Dio per noi; “comunicare”, cioè, donare amore agli altri. Ma Dio, in tutto questo, non rimane spettatore, si lascia coinvolgere se noi lo accogliamo in casa. Ci aiuta. “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20), leggiamo nell’Apocalisse. Apriamogli allora le porte del nostro cuore, delle nostre case. Il grazie. Dopo la Comunione è il momento del ringraziamento, del dire grazie a Dio per il dono ricevuto. È dire grazie a Dio che entra nella mia vita con tutto se stesso, che vuole essere presente “in”, “per”, “con” me. La parola Eucaristia significa proprio questo: ringraziamento, rendimento di grazie! Significa ringraziare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto il proprio essere. Così dovrebbe essere in famiglia: saper dire “grazie”. E dire grazie è riconoscere che gli altri membri della famiglia sono un dono per me! E’ non dare tutto per scontato, tutto per dovuto. La missione. La Messa termina con il saluto del sacerdote. “La Messa è finita andate in pace”, “andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto” (uno dei saluti di congedo più belli). “Andate e portate” vuol dire che siamo chiamati a portare con noi a casa, in famiglia, al lavoro, nella società, ciò che abbiamo vissuto nella celebrazione della Messa. Si tratta quindi di testimoniare, annunciare, vivere nel quotidiano i vari momenti della celebrazione eucaristica: essere capaci di accoglienza, sempre disponibili al perdono, aperti all’ascolto e al dialogo, pronti al dono di sé. Uscire da ogni Messa, cioè, trasformati dall’accoglienza divina e in comunione con Dio e con i fratelli e le sorelle, per essere testimoni gioiosi del Vangelo nel mondo. Aiutiamoci, allora, a far sì che ogni celebrazione eucaristica diventi “fonte viva” non solo per ognuno di noi ma anche per la vita delle nostre famiglie. don Claudio

Notizie dalle Parrocchie: Ascolto e offerta

 

 

Continuiamo il nostro percorso alla riscoperta di quei momenti che sono alla base della vita familiare e che nella Eucaristia, fonte da cui attingere forza per viverli, vengono celebrati e così resi sacri. L’ascolto, l’essere ascoltati, che nasce dal dialogo! E’ il momento del dialogo tra Dio e l’uomo nella celebrazione Eucaristica. Dio parla nelle letture, nella Parola, nell’omelia. La famiglia/comunità ascolta e risponde attraverso le acclamazioni (“rendiamo grazie a Dio”, “lode a te o Cristo”), le affermazioni (Credo) e le invocazioni (“ascoltaci Signore”) e Dio la ascolta. A Dio che parla rivelandosi, i fedeli rispondono. Non è un monologo, è un vero e profondo dialogo; un dialogo che si compie nel rito ma che è chiamato ad esprimersi e prolungarsi nella vita di tutti i giorni. In famiglia il dialogo è essenziale. È linfa vitale, energia della vita familiare, è scambio di vita, per non rischiare di sprofondare nella solitudine. Niente provoca un dolore più intenso dell’essere fisicamente vicini ma emotivamente lontani. Un dialogo sincero, necessario per scoprire i bisogni e i desideri reciproci e, soprattutto, per concordare le soluzioni soddisfacenti per tutti. Il dialogo è un’arte difficile da esercitare, perché richiede l’equilibrio tra la parola e l’ascolto. “Perché abbiamo due orecchie e una bocca soltanto?”. Per ricordarci che dovremmo ascoltare il doppio di quanto parliamo! Di solito si tende a prevaricare sull’altro con la parola, ma talora è anche il silenzio a essere causa di rottura di un dialogo. C’è, infatti, un silenzio inerte, privo di ascolto, negativo, vero e proprio rifiuto di rispondere, espressione persino di odio gelido. Quante volte nella Messa siamo presenti fisicamente ma non ascoltiamo, vaghiamo con i nostri pensieri, le nostre distrazioni. Ecco allora la noia, il senso di inutilità, lo scaldare il banco, che ci fa abbandonare. Ma questo avviene anche in famiglia, se non si vuole che la vita insieme si riduca a mera coesistenza in cui le solitudini si ricreano e il silenzio irrompe, anche quando esteriormente si parla, anzi, si grida tutti insieme, e i vicini ascoltano (cf. Pillola della Domenica). L’offerta, il dono di sé. Dopo l’ascolto della parola di Dio e il commento ad essa fatto nell’omelia, ecco che arriva il momento dell’offerta, il cosiddetto offertorio o presentazione dei doni. Noi portiamo all’altare, idealmente, il pane ed il vino, cioè portiamo quello che Dio ci ha dato e che noi abbiamo trasformato con il nostro lavoro, il frutto della nostra fatica e del nostro impegno o, come dice la preghiera che recita il sacerdote, “il frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Così dovrebbe capitare anche nei rapporti familiari, perché la vita familiare è dono e offerta. Se noi ci accogliamo, ci perdoniamo e dialoghiamo, come abbiamo detto prima, è per donarci l’un l’altro. Forse ci è più comodo pensare che i problemi della famiglia si risolvano semplicemente con i soldi, con la sicurezza economica. Ma è più facile dare i soldi che dare se stessi alla moglie, al marito, ai figli, agli anziani. I soldi sono importanti, ma imparare ad offrirsi, a donarsi, è molto più importante. Lavare, stirare, accudire, preparare il pranzo, accompagnare a scuola al mattino presto i figli, attendere per essere ascoltato, sopportare le sfuriate della mamma che a volte non si capisce da dove nascano, non sono atti dovuti, ma piccoli costanti servizi di amore quotidiani. La famiglia nasce, cresce, vive, con il contributo di tutti. “Questa casa non è un albergo!”, dicono spesso i genitori ai figli! È questo il senso dello spezzare il pane, il condividere quello che siamo e abbiamo, per rendere più bello e più ricco il nostro stare insieme. Ecco perché il momento centrale dell’Eucarestia, sottolineato e vissuto nella Comunione, è la “consacrazione”.

don Claudio

 

L’Oratorio riparte: vivi il sogno!

Vivi il sogno! E’ il tema dell’anno che giorno dopo giorno verrà svelato e vissuto in oratorio. Ma scopriamo insieme cosa si può vivere in oratorio!

L’Oratorio riparte con tante attività, nel rispetto delle normative vigenti.

Il doposcuola e il sostegno allo studio si svolgeranno:

-per le Medie e Superiori dalle 15,00 alle 17,00

-per le Elementari dalle 17,00 alle 19,00

Durante il pomeriggio sarà possibile partecipare ad ATTIVITA’ DA SOGNO:

English Lab

Digital Lab

Art Lab

Mind Challenge

Sport Challenge

 

Inoltre ripartono:

-la catechesi e i gruppi formativi, per questo ti invitiamo a consultare la pagina dedicata del sito.

-le attività sportive dell’A.S.D. Auxilium San Luigi: per info e iscrizioni scrivere a auxilium@snluigitorino.org

 

Conoscere Gesù insieme, incontrarlo nella gioia. CATECHISMO 2020-2021

VUOI CON TUO/A FIGLIO/A

un percorso di catechesi nella nostra parrocchia ?

Negli anni precedenti abbiamo sempre aperto gli oratori agli incontri di catechismo con un preciso calendario, dal lunedì al venerdì, dal 1° al 5° anno aperto a ragazzini dai 6-7 anni agli 11-12. e un incontro mensile libero, per adulti .

La situazione attuale ci ha condotti a ripensare e riformulare diverse ipotesi che valuteremo con voi.

Per decidere con voi chi , dove, quando e come  condurre e accompagnarci in questi incontri, abbiamo bisogno di sapere quanti sono i bambini / ragazzi , famiglie che desiderano dichiararsi desiderosi di seguire il cammino da noi.

Pertanto vi chiediamo di compilare il modulo che troverete al seguente link

https://donboscosansalvario.it/portfolio-articoli/attivita-catechesi-ed-iniziazione-cristiana/

(una forma di “pre-iscrizione”) e che troverete anche in cartaceo sugli espositori alle fondo alle chiesa e riconsegnarcelo quanto prima possibile via e-mail, whatsapp, o consegnato a mano ad una catechista o al parroco.

                          GRAZIE A VOI  TUTTI  e  a presto  !    Don Claudio

Notizie dalle Parrocchie: Accoglienza e Perdono

 

L’occasione delle Prime Comunioni che celebriamo in queste settimane può e deve essere occasione per riscoprire (ricordavo la settimana scorsa) che l’Eucaristia è il momento in cui si celebrano, rendendoli sacri, nonché fonte da cui attingere forza per viverli, quei momenti che devono essere anche alla base di ogni famiglia; gesti, parole, atteggiamenti, sguardi, segni dell’Eucaristia, sono infatti anche quelli del vivere quotidiano. Incominciamo allora il nostro cammino per evidenziare questi momenti. L’Accoglienza, l’essere accolti Il primo momento della celebrazione è il semplice fatto di radunarsi. Persone diverse per età, cultura, condizione sociale, …, provenienti da diversi luoghi, si radunano in chiesa per celebrare l’Eucaristia perché una voce, quella della fede, li chiama a rinsaldare i loro legami di unità in Cristo. Sono accolti dal Padre per accogliersi reciprocamente. Accolti come fratelli, come membri di una famiglia, come uomini che hanno la loro dignità e meritano perciò attenzione e rispetto. Da questo nasce anche la capacità e il coraggio di accogliere gli altri. Così deve essere in famiglia! “Viversi come accolti”. Tra genitori e figli, nella coppia, con gli “altri” che partecipano a vario titolo alla vita familiare: Dirsi “tu sei importante per me e io sono importante per te”, attenti alle attese, ai desideri, alle intuizioni, ai problemi, alle difficoltà dell’altro. E’ lo stile evangelico celebrato nell’Eucaristia che dovrebbe poi riscriversi nei rapporti quotidiani. Il perdono, l’essere perdonati. Una volta radunati, e quindi non dispersi qua e là nei banchi della chiesa, dopo il saluto iniziale del sacerdote che presiede la celebrazione, si è invitati ad un breve atto penitenziale. E’ riconoscerci peccatori, bisognosi di perdono di Dio, dei fratelli! E’ fare esperienza del sentirsi amati da Dio, perché perdonati da Dio! Perché chi ama realmente non può non perdonare, è il dono più grande dell’amore. E’ quello che deve sostenere la vita di una famiglia, il dono più grande da cui ripartire ogni giorno. Il chiedersi “scusa”, perché tutti sbagliamo! “L’uomo giusto pecca, sbaglia, sette volte al giorno”, scrive il libro dei Proverbi. Il donarsi il perdono. Infatti una famiglia è viva, è sana, è semplicemente umana, prima che cristiana, quando è capace di rigenerarsi continuamente attraverso il vicendevole perdono chiesto e offerto generosamente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare. Il riconciliarsi significa il recuperare l’altro e noi stessi alla vera dignità. La riconciliazione sincera ci permette di sperimentare che la persona è sempre più grande del suo sbaglio. Ricordiamoci che dono grande e segreto per essere famiglia felice è quello di non lasciar passare giornata senza essersi perdonato tutto, senza aver fatto pace, perché il perdono dato, la pace fatta, vi permetterà di partire il giorno dopo più leggeri, più entusiasti, mentre il perdono non dato, la pace non fatta, il giorno dopo sarà un macigno sempre più pesante! Ed è quello che viviamo e celebriamo nell’Eucaristia. Pensiamo al gesto del battersi il petto come segno di dispiacere per ciò che è avvenuto; pensiamo allo scambio di pace o di un abbraccio fraterno, che sigilla la riconciliazione avvenuta. Accoglienza e perdono sono l’inizio di ogni Messa ma possono essere anche l’inizio per dare qualità al nostro vivere insieme in famiglia. Chiediamo al Signore di vivere nelle nostre case quello che celebriamo attorno all’altare.

don Claudio

 

Giovanni: l’esperienza all’housing che mi ha cambiato

Sono Giovanni, ho 23 anni e sono nato e cresciuto in Sicilia. Dopo aver conseguito la laurea triennale in ingegneria gestionale a Palermo, decisi di continuare il mio percorso di studi a Torino. Quando si opta per un ateneo molto lontano da casa, si viene investiti dalla frenesia e dall’eccitazione di cominciare un nuovo percorso e fare una nuova grande esperienza… ma più grande è l’esperienza più sono le preoccupazioni che prendono piede! Nel mio caso, ero preoccupato perché avevo difficoltà a trovare un alloggio e perché ero spaventato dalla possibilità di andare a vivere con persone che non conoscevo: le incognite erano tante, e più cercavo, meno trovavo e più mi preoccupavo. Fin quando su un sito non trovai l’annuncio di San Salvario House: il prezzo conveniente, la posizione strategica (quasi a metà strada tra il centro e il politecnico) ma anche la possibilità di fare nuove conoscenze con ragazzi provenienti da ogni parte del mondo e il fatto che la struttura fosse guidata da un educatore e si appoggiasse a una parrocchia… tutti questi fattori mi convinsero a scegliere il social housing come mio alloggio. Ancora invaso da dubbi, a fine settembre 2019 mi trasferii.

Bastò poco affinché i miei dubbi e le mie ansie svanissero: fui accolto molto bene e riuscii molto presto a integrarmi tra i ragazzi già presenti. La convivenza di diverse culture non mi spaventava più, e con il passare dei mesi cominciai a conoscerle sempre meglio. Certo, ci sono state alcune discussioni e un po’ di liti, ma siamo riusciti sempre, io e i miei coinquilini, a venirci incontro e capirci l’un l’altro. Durante il mese, l’educatore organizzava cene e momenti di condivisione, anche con l’appoggio delle famiglie della parrocchia; sono stati momenti molto belli, ma ciò che veramente mi ha segnato è stata la quotidianità, a volte banale, con ragazzi italiani, africani, asiatici e americani.

Impossibile inoltre non accennare al periodo in quarantena: per vari motivi, decisi di rimanere a Torino e seguire da lì le lezioni online e affrontare gli esami nella mia stanza davanti al computer. È stata un’esperienza molto strana (come penso lo sia stata per tutti), ma che sicuramente sarebbe stata molto diversa (e peggiore) se l’avessi affrontata da solo. Invece, molti ragazzi decisero di non tornare a casa propria e di restare nell’housing e lì, costretti tutti noi in uno spazio relativamente limitato, riuscimmo ad avvicinarci ancora di più: ci furono momenti di confronto, di scontro e condivisione, grazie ai quali imparammo a conoscerci meglio e, uniti, a portare avanti il progetto del social housing.

Questi sono stati mesi incredibili, che mi hanno formato molto, e certamente il Giovanni che è uscito per un’ultima volta da quel portone in via Saluzzo non sarà lo stesso che è entrato in quel settembre che ora sembra così lontano. La mia esperienza al San Salvario House è una di quelle che molto difficilmente dimenticherò nella mia vita; me la porterò dietro sempre e spero di riuscire a portare anche alle persone che conoscerò in futuro almeno un pezzo di quei ragazzi che tanto si sono fatti volere bene.