Concorso: Presepe in Famiglia

CONCORSO: PRESEPE IN FAMIGLIA

Il presepe ci tiene uniti e ci fa respirare aria di festa. Vivremo a OCCHI APERTI il Natale del Signore, lasciamo che anche l’opera del presepe, costruito insieme, ci possa stupire e meravigliare e, magari, aprirci al sorriso, in un momento ancora molto preoccupante per tutti.

E’ invito a riscoprire la magia del presenze e lasciarlo parlare alle nostre vite e a quelle delle nostre famiglia, per rimettere al centro il Signore Gesù, il protagonista del Natale.

REGOLAMENTO:

  • Realizzatelo insieme, in famiglia, secondo la vostra fantasia.
  • Fate un video, max. 20 secondi (panoramica tenendo il cellulare in orizzontale e non in verticale) e/o foto (max 4 foto).
  • Inviate tutto, entro il 23 dicembre 2020, via WhatsApp n° 366 7763557 e/o via mail: parroco@donboscosansalvario.it

Ci sarà un premio-ricordo per tutti (premi speciali per i più significativi).

Notizie dalle Parrocchie: 1° Domenica di Avvento – Nuovo messale: ecco cosa cambia

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 13,33-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

 Accendere il cervello, rimboccarsi le maniche.

Tempo strano questo della pandemia, particolare. Fa specie dover vivere isolati, non poterci incontrare, nemmeno con gli affetti cari. Vedere molte attività sospese! Mattia Feltri ha commentato: “Quando il mondo cambia e ci atterra, le possibilità sono due: piangere e ribellarsi oppure accendere il cervello e rimboccarsi le maniche. Nel primo caso si fa rumore, nel secondo ci si salva la pelle”. (La Stampa, 19/11/2020). Verissimo.
Nelle difficoltà molti hanno la tendenza al vittimismo, oppure sfogano il dolore con la rabbia. Molti cercano il colpevole. Altri passano il tempo a cercare i manovratori occulti, le corporazioni segrete, gli spiriti maligni, i potenti nascosti. Spesso accade così in questo tempo difficile: brontoliamo e ci avveleniamo, ma soprattutto avveleniamo il nostro animo e versiamo tristezza e malumore sugli altri.
Invece è il tempo di “accendere il cervello e rimboccarsi le maniche”. E questo soprattutto come cristiani. Il nostro atteggiamento deve essere diverso. Non si tratta di essere ingenui, ma fiduciosi. L’ingenuo non vede i guai; il fiducioso li vede benissimo, ma sa guardare oltre. Occorre accendere il cervello, cioè accorgersi che è questo il momento di riaccendere speranza. Questo è il momento di farsi santo! Non altri.
Una parola di san Paolo può e deve risuonare forte in questi giorni: “del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rom 8,28). Non dobbiamo aspettare tempi migliori.
Ci è offerto un tempo favorevole, prezioso: l’Avvento. E’ tempo da vivere con  entusiasmo. Anche se, per assurdo, fossimo tutti malati, Natale ci sarà comunque.  L’evento ci sarà. “Ecco, viene il Signore”, è la “bella notizia”. Il Signore ci viene incontro. Gesù nasce per noi, si fa incontro, ci parla, si promette a noi, desidera essere compagno della nostra vita, essere nostra luce. E’ il tempo di “cambiare faccia”! Dalla faccia della preoccupazione alla faccia della fede. Il tempo, quindi, di “rimboccarci le mani”, cioè di preparare questo incontro. Iniziamo da oggi. Ad un alto prelato che gli chiedeva “come si fa in questi tempi così difficili? Cosa possiamo fare come Chiesa?”, Madre Teresa rispose: “Cominciamo noi due!”. Cominciamo noi! Domenica 29 Novembre 2020

Il Vangelo propone due atteggiamenti, che debbono e possono essere gli atteggiamenti di questo avvento: fare attenzione e vegliare.
Attenzione per non far diventare la nostra fede un francobollo appiccicato il giorno del Battesimo, ma rimasto lì inutilizzato. Attenzione per darci una mossa e abbandonare la tentazione della pigrizia, della superficialità. Attenzione per sfuggire al Natale finto dei buoni sentimenti, e lasciarci interpellare dal Dio che irrompe dentro la nostra storia. Attenzione per dare ordine alla vita, per stabilire priorità e imparare a scegliere nella logica di Dio. Attenzione per riconoscere il volto di Dio in quello dei fratelli, nelle loro parole, nelle loro ricchezze. Attenzione alle piccole cose di ogni giorno, ai piccoli gesti di
accoglienza e di servizio con cui Dio ci chiama ad amare i fratelli. Il secondo è vegliare. Vegliare per non farci prendere dal sonno, per essere pronti ad accoglierlo, a fargli spazio. E tutto questo deve diventare attesa attiva, che deve diventare preghiera. Più forte deve essere il nostro pregare, il nostro affidarci a Lui. Vegliare che diventa impegno, che diventa testimonianza. Lo ricorda San Paolo, non possiamo tenere per
noi i doni che Lui ha riversato nella nostra vita, ma dobbiamo farli diventare dono per gli altri, farli diventare servizio, annuncio, testimonianza. Impariamo da Maria. In questo ci deve essere da guida. Lei realmente ha saputo stupirsi di fronte all’offerta, alla proposta di Dio, ma ha anche saputo trasformare questo stupore in preghiera, in vita vissuta in pienezza. Affidiamoci a Lei, esperta dell’Avvento.

don Claudio

La nostra comunità ricorda don Italo Spagnolo

E’ mancato ieri sera il salesiano sacerdote don ITALO SPAGNOLO della Comunità Salesiana del San Giovannino.

E’ mancato all’Ospedale Gradenigo di Torino, dove era ricoverato dal 12 novembre per una polmonite bilaterale, dovuta al Covid.

Era giunto in mezzo a noi a San Salvario nel gennaio del 2019 dalla Nigeria, dove dal 1982 svolgeva la sua opera come missionario, per delle cure che doveva fare.

Era nato il 16 maggio 1941 a Trivero (Biella). Salesiano dal 1958 e sacerdote dal 1968.

Molti l’hanno conosciuto per il suo servizio sacerdotale pastorale nelle nostre parrocchie, in particolare al Sacro Cuore di Maria. Sempre molto disponibile, affabile, dolce, ma anche competente e preparato.
Ricordiamolo nella preghiera.

In questo video, girato da qualche mese, don Italo racconta come è nata la sua vocazione e come don Bosco l’abbia inviato in Africa per un nuovo Valdocco africano. Con le lacrime agli occhi ha condiviso uno dei suoi più bei ricordi legati alla nuova missione che aveva aperto in Africa “La cosa più bella che ho vissuto… è vivere Valdocco agli inizi. Don Bosco diceva “con i giovani mi trovo bene”… e con i giovani nigeriani ci si trova ancora meglio!”

 

Grazie don Italo per la tua vita, vera testimonianza cristiana e salesiana!

 

 

Notizie dalle Parrocchie: “Promossi o bocciati?”. È la domanda da farci, oggi come cristiani.

“Promossi o bocciati?”. È la domanda da farci, oggi, solennità di Cristo Re, come cristiani. Siamo al termine di un anno liturgico, anno strano, segnato dall’incertezza e spesso dalla paura per questo coronavirus che ci ha tenuto compagnia. Ma il Signore
non ci ha abbandonato, è rimasto al nostro fianco, ci ha guidati con le sue parole, in particolare quelle del Vangelo di Matteo. Inviti per vivere in modo autentico il nostro battesimo ne abbiamo avuti molti! Ci ha parlato di talenti da investire e far fruttare; di olio da mettere nelle nostre lampade; di essere terreno buono che accoglie e fa crescere la sua parola. Ci ha parlato di Lui, del suo agire, del suo modo di farsi prossimo, del suo stile di amare, fino a dare la vita per le persone amate.
E oggi al termine di quest’anno, mentre festeggiamo il nostro Re-servo, ringraziandolo per averci accompagnato nel cammino di fede, come alla fine di un anno scolastico, siamo chiamati a tirare le somme. Infatti la pagina del Vangelo è un discorso che suona molto da bilancio consuntivo, come da fine anno. E non solamente di un anno con lui, ma di una vita con lui, da cui emerge la domanda: “Promossi o bocciati come cristiani davanti a Dio e davanti ai fratelli ?”. L’esito dipende da noi! Non possiamo dire, come
spesso fanno gli allievi: la colpa è degli insegnanti, della scuola… La colpa è di chi non si è applicato tutto l’anno, o di chi si è accontentato del minimo sindacale. E così la colpa non è di Dio! Non è lui che esclude dal suo regno, non è lui che caccia fuori da casa chi vi entra indegnamente. Certo, è lui che “separerà le capre dalle pecore”, ma che tu sia capra o pecora, che tu sia un pesce buono o un pesce cattivo finito nella rete del pescatore, che tu sia zizzania o grano buono, quello dipende solo da te, dalle tue opere. Cioè, da quanto hai amato Dio e i fratelli. “Alla sera della vita, ciò che conta è aver amato”, diceva già nel XVI sec. san Giovanni della Croce. Il Vangelo, ancora una volta, ci offre la ricetta dell’Amore autentico, e la ripete sia ai “benedetti dal Padre mio” che ai “maledetti”. Ed è autentico se diventa vita. Se la sua Parola, che abbiamo ascoltato, si sarà trasformata in pane per chi aveva fame, in acqua per chi aveva sete, in accoglienza per chi era straniero, in vestiti per chi era nudo, in conforto a chi era malato, in visite a chi era carcerato.
E’ invito ad amare con i fatti. Ancora una volta l’invito non è “non fare il male”, questo è scontato, è ovvio!, ma “fare il bene!”. Non basta, quindi, giustificarsi dicendo “io non ho mai fatto del male a nessuno”. Perché si fa del male anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra, con il non impegnarsi, con l’essere indifferenti.
Facciamo diventare concreto questo amore. Iniziamo dalle nostre case, iniziamo da chi ci vive accanto. In famiglia accogliendoci, servendoci, rispettandoci, perdonandoci. Con
gli altri soprattutto i più deboli, fragili, poveri: una visita ad un malato, una telefonata ad una persona sola, un piccolo servizio al vicino di casa, un’ attenzione al povero. Di occasioni ne abbiamo tante. Anche i piccoli gesti sono importanti. Promossi o bocciati, come cristiani? Forse ci sentiamo un po’ tutti rimandati “a settembre”?

don Claudio

 

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 25,31-46)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?. E il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?. Allora egli risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

Notizie dalle Parrocchie: Giornata mondiale dei poveri

 

Dal vangelo secondo Matteo  (Mt 25,14-30)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

    

Al centro della Parola di Dio la “Parabola dei talenti”.
Il Signore riempie la nostra vita di doni, di “talenti”. Pensiamo ai più grandi: il dono della vita, del suo Amore, che per noi si fa cibo, perdono, parola, forza. Tocca a noi riconoscerli. Troppe volte diamo tutto per scontato, come con i fratelli: “tutto scontato, dovuto”. Tocca noi dire grazie. Ma soprattutto tocca a noi valorizzarli, farli fruttificare! Tocca a noi scegliere cosa fare di questi talenti, cioè scegliere che uso fare della nostra vita. Possiamo sprecarli e usarli come uno sfogo, per soddisfare i nostri capricci ed egoismi, per poi buttarli via dopo averli usati … rimanendo sempre insoddisfatti e delusi. Possiamo nasconderli e accontentarci del minimo indispensabile e poi lamentarci di tutto e tutti. Oppure possiamo usarli, valorizzarli per costruire la casa della nostra vita, dove niente si butta e tutto trova un posto, si aggiusta, ricomincia.
Certamente, e il Signore nel Vangelo ce lo ricorda, questi talenti non ci sono stati dati per sotterrarli, nasconderli e poi lamentarci.
Papa Francesco aveva appeso alle porte del suo ufficio un cartello, che dovremmo appendere tutti alle porte delle nostre case, con scritto “Vietato lamentarsi”, contro quella che possiamo definire una sindrome da vittimismo: “tutti ce l’hanno con me!”, “chi me lo fa fare, accontentiamoci, lamentiamoci!” che diventa incapacità di risolvere i problemi. “Smettila di lamentarti e agisci per cambiare in meglio la tua vita”.
Perché tocca a noi decidere che cosa vogliamo fare della nostra vita! Di quel “terreno” che ci è stato dato in affitto per la nostra vita. Ricordiamocelo: tutto quello che abbiamo, anche le nostre doti, non è nostro, è ricevuto. Ecco i talenti: un talento è un’unità di misura che equivale a oltre venti chili d’oro puro, un valore enorme! Questo terreno possiamo trasformarlo in un frutteto, un orto, una vigna, un roseto o lasciarlo un campo incolto.
La nostra storia è sottoposta a un discernimento, noi scegliamo ogni giorno, o meglio, dovremmo farlo. È la differenza fra lasciarti vivere dalle giornate, dalle urgenze delle circostanze esterne e delle richieste degli altri, oppure decidere tu cosa far entrare nel tuo tempo e cosa no. Ma anche talenti affidati per metterli a servizio degli altri. Così certamente diventeremo più ricchi noi e gli altri.
Si racconta che in Africa si incontrarono un giorno Raoul Follereau e il dr. Albert Schweitzer (premio Nobel per la pace nel 1952). Si trovarono a discorrere amabilmente delle cose di Dio, quando a un certo punto Follereau chiese al dr. Schweitzer: “Senti, se ti capitasse di incontrare improvvisamente Gesù su una di queste povere strade africane, che cosa faresti?” – Il medico ebbe un momento di esitazione, poi gli rispose: “Cosa farei? Abbasserei la testa per la vergogna…abbiamo fatto così poco di quello che ci ha comandato per i nostri fratelli poveri!”. Anche noi abbiamo fatto ancora troppo poco con il capitale d’amore che Dio ci ha donato. Rimbocchiamoci le maniche e, finché c’è tempo, impieghiamolo per amare!
don Claudio

 

Domenica 15 novembre 2020
Giornata mondiale dei poveri,
”Tendi la tua mano al povero” (Siracide 7,32).

Una Giornata per rimettere al centro il povero, ma non per buonismo. Una giornata per riflettere e pregare, non centrata su raccolte di fondi. Questa è la Giornata mondiale dei Poveri, che il 15 novembre tutte le comunità parrocchiali e religiose, le famiglie e i singoli sono invitate a celebrare.
«La Giornata», spiega Pierluigi Dovis, direttore della Caritas di Torino, «è l’occasione per ricordarci che siamo Chiesa nella misura in cui siamo servitori dei poveri, riconoscendo in loro la presenza del Signore: serviamo loro per servire il Signore». Dal riconoscere la centralità del povero la Giornata diventa anche invito a riflettere su quali azioni si possono compiere, ma soprattutto su quali relazioni si possono instaurare. «Quest’anno l’emergenza Covid», prosegue Dovis, «rende più complicato il concretizzare la prossimità con un invito a pranzo come si proponeva in passato, ma la Giornata può essere l’occasione per fermarsi ad analizzare quale posto occupa il povero nella vita di ciascuno e per offrire la preghiera come azione di carità».
Una Giornata infine per domandarsi anche chi sono i poveri, uscendo dagli schemi di chi li identifica come senza dimora o questuanti: «Riconoscere la povertà di relazioni, la povertà di senso, la fatica spirituale che toccano le persone intorno a noi», conclude, «è un passo importante per andare incontro nel quotidiano alla sofferenza di tanti, a quelle sofferenze per le quali non è solo o non è tanto l’aspetto economico a pesare, e per le quali è proprio il tendere la mano, il farsi prossimo con la propria umanità e persona, il passaggio da compiere».

Notizie dalle Parrocchie: commemorazione dei fedeli defunti

 

E’ il giorno in cui la Chiesa ci invita a ricordarci dei morti, di “tutti” i fedeli defunti (cioè di coloro che hanno creduto in Dio). E’ il giorno in cui in particolare facciamo memoria dei nostri cari, per rinnovare i sentimenti di riconoscenza che dobbiamo loro. Ma ricordarli da credenti significa anzitutto ringraziare il Signore per la vita che ha donato loro, per tutte le grazie che essi hanno ricevuto da Lui.

 

Ringraziarlo per tutto il bene che essi hanno fatto nella loro vita ed essere riconoscenti al Signore per tutto il bene che essi ci hanno donato. E ciò è sottolineato anche da alcuni segni che esprimono il nostro affetto nei loro confronti, quali la visita al cimitero, la deposizione di fiori, la cura che mettiamo nel mettere in ordine le tombe. Ricordo che ci mette anche davanti al mistero della morte. Tocca tutti! Qualche persona cara: marito, moglie, figlio, figlia, un amico, un conoscente. Toccherà anche a noi! Anche se spesso preferiamo non pensarci. Mistero che per noi cristiani è illuminato dalla fede nel Signore Risorto e quindi da fiduciosa speranza nella promessa di Gesù Cristo, “Io sono la risurrezione e la vita”, per cui, come ci ricorda San Paolo, “il cristiano non muore, la sua vita è trasformata!”. La morte non è l’ultima parola sulla sorte umana, perché l’uomo è destinato ad una vita senza limiti che ha la sua radice e il suo compimento in Dio. Speranza che diventa certezza per il cristiano, perché anche noi chiamati a risorgere come Cristo è risorto; ma soprattutto dice a noi che la morte non separa, ma riunisce presso Dio e in Dio. Soprattutto un ricordo che si fa preghiera. E’ il ricordo più bello! Sant’Agostino diceva: «una lacrima per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo». E la tradizione della Chiesa ha sempre esortato a pregare per i defunti, in particolare offrendo per loro la celebrazione dell’Eucarestia. È il miglior aiuto spirituale che possiamo dare alle loro anime, soprattutto alle più abbandonate, proprio per quella comunione al Corpo Mistico della Chiesa di cui ognuno di noi è parte viva e, come tale, responsabile anche delle altre membra, degli altri, vivi e morti. Ma fede, speranza, certezza fanno sì che il ricordo diventi impegno. L’incontro con la morte, che san Francesco chiamava “sorella morte”, che è incontro con l’abbraccio misericordioso, pieno di affetto e di amore del Padre, è un incontro da preparare fin da oggi, con il nostro impegno, la nostra conversione continua di ogni giorno. Significa accogliere la parola di Cristo, riconoscere il proprio peccato, rimettersi umilmente in cammino, illuminati e guidati da questa Parola e attraverso la nostra vita di cristiani vissuta in pienezza nell’amore verso il Signore e verso i fratelli, attraverso l’attenzione, il servizio, la disponibilità, l’accoglienza e il perdono vicendevole.

don Claudio

 

 

Notizie dalle Parrocchie: perchè far celebrare le Messe per i defunti?

 

 

Ci avviciniamo alla festa dei Santi e alla Commemorazione dei cari defunti. E’ il momento del ricordo,  per rinnovare i sentimenti di riconoscenza, gratitudine verso di loro, che significa anzitutto dire grazie al Signore per la vita che ha loro donato, per tutte le grazie che essi hanno ricevuto da Lui, per tutto il bene che essi hanno fatto nella loro vita, ma anche riconoscenza per tutto il bene che essi ci hanno donato. Ma questo è anche  il momento in cui da molte persone giunge la domanda: “Perché far celebrare le Messe per i defunti?”.

Provo a rispondere.

 

Già nell’Antico Testamento si parla della preghiera per i defunti affinché “siano assolti dai loro peccati“; ciò a proposito di soldati morti in battaglia tra le cui vesti erano stati trovati oggetti rubati. Questo passo (dal secondo libro dei Maccabei 12,45) è uno dei pochi  riferimenti dell’Antico Testamento. La Chiesa però, fin dagli inizi, ha sempre favorito la preghiera in suffragio dei defunti come espressione di un legame d’affetto nella fede che ci lega a quanti sono morti. Sant’Agostino, nelle Confessioni, la sua autobiografia, riferisce questo episodio:  sua madre, Santa Monica, prima di morire gli aveva raccomandato: “Seppellite pure questo mio corpo dove volete, senza darvi pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, dinanzi all’altare del Signore“. Era il 27 agosto 387, quindi nel primo periodo dell’era cristiana.

Quando moriamo e ci presentiamo davanti a Dio, possiamo vivere per sempre con lui. Ma se in noi ci sono ancora tracce di egoismo, di invidia, di gelosia, in una parola di “non-amore”, abbiamo bisogno di essere purificati, di fare cioè “pulizia” di ciò di cui nostri peccati lasciano traccia nel nostro spirito. Abbiamo chiamato questo stato con il nome di purgatorio, che non è un luogo immerso fra le nuvolette, a metà strada fra la terra e il paradiso, dove si chiacchiera e si beve il caffè come mostra una pubblicità.

Questa “pulizia” può essere anticipata in vita con le preghiere, le opere di misericordia corporale e spirituale, l’affrontare con pazienza e rassegnazione le sofferenze  e i contrattempi della vita.

Con la morte i giochi sono fatti, non possiamo più pregare  o fare altro per noi stessi. Nell’aldiquà però chi è vivo può aiutare (= suffragare) i defunti in questa eventuale  opera di purificazione. Come? Destinando ad essi quello che -scrivevo sopra –  si può fare per se stessi quando si è in vita.

La nostra preghiera può aiutarli. Anche san Paolo in una sua lettera dice che è un gesto salutare. Chiediamo al Signore di perdonarli di tutto il male commesso e di accoglierli nel suo Regno di pace e di giustizia, il più in fretta possibile… anche se in cielo non credo che esistano gli orologi, il presto o il tardi non sono categorie che gli appartengono!

In particolare, l’azione più grande ed efficace è la Messa, nella quale Gesù, unico mediatore, intercede presso il Padre celeste per  i viventi e i defunti; Egli, che ha affrontato e vinto la morte ed è il Vivente. Egli ha preso su di sé tutti i peccati, di tutti gli uomini, viventi o defunti che siano. Ogni Messa è sempre il rinnovarsi della Pasqua di Morte e Resurrezione di Gesù Cristo.

In Lui, spiritualmente, ci mettiamo in relazione  con i nostri  cari viventi o defunti. È un dono che viene elargito per questi fratelli nella speranza, ossia nell’atto dell’affidarsi al Dio fedele ed affidabile, Colui che non abbandona la nostra vita nel sepolcro (cf. Sal 15).

È proprio all’interno di questa assoluta gratuità che – e non appaia contraddittorio – si deve collocare il significato e il valore dell’eventuale offerta economica per la celebrazione. Essa non è il “pagamento” della Santa Messa che altrimenti si ridurrebbe ad un servizio religioso remunerato, bensì un segno che rafforza la gratuità del dono. L’eventuale offerta in denaro non paga il servizio, ma ne è segno, è un modo “umano” per dichiarare che quell’atto d’amore coinvolge veramente colui che dona. L’amore alimenta sempre l’amore, in qualsiasi forma concreta e storica si esprima.

don Claudio

 

Notizie dalle Parrocchie:Andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto

 

Con questa domenica concludiamo le celebrazioni delle “Prime Comunioni” che hanno accompagnato le Messe di questo mese, e con esso concludo anche questo cammino di riscoperta dell’Eucaristia come “fonte viva” per la vita delle nostre famiglie. La consacrazione, la comunione. Il Signore che si offre per me, si fa cibo, “pane spezzato”, rende viva e attuale la sua offerta d’amore per me, il suo morire in croce, l’offrire la sua vita per amore. Si fa mangiare da noi per rendersi presente e vivo nella nostra vita. Il Signore che desidera entrare nella nostra vita, entrare nella nostra casa, per aiutarci ad amarci “da Dio” (cioè secondo l’amore autentico che è quello del Signore). Questo dovrebbe essere lo stile autentico di vivere in famiglia. Lo stile di una famiglia in cui ci si vuole bene, ci si ama. Il diventare, cioè, pane spezzato per l’altro, il farsi mangiare dall’altro. E’ il donarsi autenticamente agli altri che realizza l’amore autentico, e questo mettendo tutto il nostro sforzo nell’accoglierci, nel rispettarci, nell’ascoltarci e parlarci in modo sincero, nel servirci. Possiamo esprimere tutto questo così: “Volete sapere come ci ama Dio? Guardate una famiglia dove ci si vuole bene”. Da qui il compito affidato ad ogni famiglia, soprattutto ad una famiglia cristiana, compito che Giovanni Paolo II, nella “Familiaris Consorti”, riassume nella “missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore”. “Custodire” l’amore tra di loro; “rivelare”, attraverso il loro amore, l’amore di Dio per noi; “comunicare”, cioè, donare amore agli altri. Ma Dio, in tutto questo, non rimane spettatore, si lascia coinvolgere se noi lo accogliamo in casa. Ci aiuta. “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20), leggiamo nell’Apocalisse. Apriamogli allora le porte del nostro cuore, delle nostre case. Il grazie. Dopo la Comunione è il momento del ringraziamento, del dire grazie a Dio per il dono ricevuto. È dire grazie a Dio che entra nella mia vita con tutto se stesso, che vuole essere presente “in”, “per”, “con” me. La parola Eucaristia significa proprio questo: ringraziamento, rendimento di grazie! Significa ringraziare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto il proprio essere. Così dovrebbe essere in famiglia: saper dire “grazie”. E dire grazie è riconoscere che gli altri membri della famiglia sono un dono per me! E’ non dare tutto per scontato, tutto per dovuto. La missione. La Messa termina con il saluto del sacerdote. “La Messa è finita andate in pace”, “andate e portate a tutti la gioia del Signore risorto” (uno dei saluti di congedo più belli). “Andate e portate” vuol dire che siamo chiamati a portare con noi a casa, in famiglia, al lavoro, nella società, ciò che abbiamo vissuto nella celebrazione della Messa. Si tratta quindi di testimoniare, annunciare, vivere nel quotidiano i vari momenti della celebrazione eucaristica: essere capaci di accoglienza, sempre disponibili al perdono, aperti all’ascolto e al dialogo, pronti al dono di sé. Uscire da ogni Messa, cioè, trasformati dall’accoglienza divina e in comunione con Dio e con i fratelli e le sorelle, per essere testimoni gioiosi del Vangelo nel mondo. Aiutiamoci, allora, a far sì che ogni celebrazione eucaristica diventi “fonte viva” non solo per ognuno di noi ma anche per la vita delle nostre famiglie. don Claudio

Notizie dalle Parrocchie: Ascolto e offerta

 

 

Continuiamo il nostro percorso alla riscoperta di quei momenti che sono alla base della vita familiare e che nella Eucaristia, fonte da cui attingere forza per viverli, vengono celebrati e così resi sacri. L’ascolto, l’essere ascoltati, che nasce dal dialogo! E’ il momento del dialogo tra Dio e l’uomo nella celebrazione Eucaristica. Dio parla nelle letture, nella Parola, nell’omelia. La famiglia/comunità ascolta e risponde attraverso le acclamazioni (“rendiamo grazie a Dio”, “lode a te o Cristo”), le affermazioni (Credo) e le invocazioni (“ascoltaci Signore”) e Dio la ascolta. A Dio che parla rivelandosi, i fedeli rispondono. Non è un monologo, è un vero e profondo dialogo; un dialogo che si compie nel rito ma che è chiamato ad esprimersi e prolungarsi nella vita di tutti i giorni. In famiglia il dialogo è essenziale. È linfa vitale, energia della vita familiare, è scambio di vita, per non rischiare di sprofondare nella solitudine. Niente provoca un dolore più intenso dell’essere fisicamente vicini ma emotivamente lontani. Un dialogo sincero, necessario per scoprire i bisogni e i desideri reciproci e, soprattutto, per concordare le soluzioni soddisfacenti per tutti. Il dialogo è un’arte difficile da esercitare, perché richiede l’equilibrio tra la parola e l’ascolto. “Perché abbiamo due orecchie e una bocca soltanto?”. Per ricordarci che dovremmo ascoltare il doppio di quanto parliamo! Di solito si tende a prevaricare sull’altro con la parola, ma talora è anche il silenzio a essere causa di rottura di un dialogo. C’è, infatti, un silenzio inerte, privo di ascolto, negativo, vero e proprio rifiuto di rispondere, espressione persino di odio gelido. Quante volte nella Messa siamo presenti fisicamente ma non ascoltiamo, vaghiamo con i nostri pensieri, le nostre distrazioni. Ecco allora la noia, il senso di inutilità, lo scaldare il banco, che ci fa abbandonare. Ma questo avviene anche in famiglia, se non si vuole che la vita insieme si riduca a mera coesistenza in cui le solitudini si ricreano e il silenzio irrompe, anche quando esteriormente si parla, anzi, si grida tutti insieme, e i vicini ascoltano (cf. Pillola della Domenica). L’offerta, il dono di sé. Dopo l’ascolto della parola di Dio e il commento ad essa fatto nell’omelia, ecco che arriva il momento dell’offerta, il cosiddetto offertorio o presentazione dei doni. Noi portiamo all’altare, idealmente, il pane ed il vino, cioè portiamo quello che Dio ci ha dato e che noi abbiamo trasformato con il nostro lavoro, il frutto della nostra fatica e del nostro impegno o, come dice la preghiera che recita il sacerdote, “il frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Così dovrebbe capitare anche nei rapporti familiari, perché la vita familiare è dono e offerta. Se noi ci accogliamo, ci perdoniamo e dialoghiamo, come abbiamo detto prima, è per donarci l’un l’altro. Forse ci è più comodo pensare che i problemi della famiglia si risolvano semplicemente con i soldi, con la sicurezza economica. Ma è più facile dare i soldi che dare se stessi alla moglie, al marito, ai figli, agli anziani. I soldi sono importanti, ma imparare ad offrirsi, a donarsi, è molto più importante. Lavare, stirare, accudire, preparare il pranzo, accompagnare a scuola al mattino presto i figli, attendere per essere ascoltato, sopportare le sfuriate della mamma che a volte non si capisce da dove nascano, non sono atti dovuti, ma piccoli costanti servizi di amore quotidiani. La famiglia nasce, cresce, vive, con il contributo di tutti. “Questa casa non è un albergo!”, dicono spesso i genitori ai figli! È questo il senso dello spezzare il pane, il condividere quello che siamo e abbiamo, per rendere più bello e più ricco il nostro stare insieme. Ecco perché il momento centrale dell’Eucarestia, sottolineato e vissuto nella Comunione, è la “consacrazione”.

don Claudio

 

L’Oratorio riparte: vivi il sogno!

Vivi il sogno! E’ il tema dell’anno che giorno dopo giorno verrà svelato e vissuto in oratorio. Ma scopriamo insieme cosa si può vivere in oratorio!

L’Oratorio riparte con tante attività, nel rispetto delle normative vigenti.

Il doposcuola e il sostegno allo studio si svolgeranno:

-per le Medie e Superiori dalle 15,00 alle 17,00

-per le Elementari dalle 17,00 alle 19,00

Durante il pomeriggio sarà possibile partecipare ad ATTIVITA’ DA SOGNO:

English Lab

Digital Lab

Art Lab

Mind Challenge

Sport Challenge

 

Inoltre ripartono:

-la catechesi e i gruppi formativi, per questo ti invitiamo a consultare la pagina dedicata del sito.

-le attività sportive dell’A.S.D. Auxilium San Luigi: per info e iscrizioni scrivere a auxilium@snluigitorino.org