PILLOLA DELLA DOMENICA

Gesù solo un dettaglio? 

Un parroco preparava con cura meticolosa le manifestazioni esterne della sua parrocchia. Soprattutto la solenne processione del Corpus Domini. Voleva che la festa fosse un vero avvenimento per il paese.
Tre mesi prima della data, radunava un apposito comitato e organizzava i gruppi di lavoro. Il giorno della festa tutto il paese era mobilitato.
Alle dieci e trenta in punto, la processione cominciò a snodarsi. I chierichetti con i candelabri, i paggetti nei costumi colorati, le bambine con il vestito bianco che spargevano petali di rosa, i giovanotti della società sportiva con le tute gialle e blu, gli uomini e le donne delle confraternite con i labari colorati e i nastri azzurri, gialli, rossi, poi l’Azione Cattolica, i ragazzi dell’Oratorio, la gente, la teoria dei chierichetti e la banda musicale del paese. Una processione magnifica!
Quando la banda intonò il pezzo più solenne, dal portale della chiesa uscì lentamente il baldacchino di broccato dorato con i pennacchi rossi e bianchi, sorretto da quattro baldi giovani.
Sotto il baldacchino, incedeva il parroco, rivestito del piviale più prezioso, che reggeva il pesante ostensorio d’oro tempestato di pietre preziose.
Improvvisamente il viceparroco, che accompagnava i chierichetti, si avvicinò allarmato al parroco e gli sussurrò: “Prevosto, nell’ostensorio non c’è l’ostia!”.
Il parroco ribatté seccato: “Non vedi a quante cose devo pensare? Non posso occuparmi anche dei dettagli!”.

Gesù solo un dettaglio? Per tanti, troppi, è così.

Dal vangelo secondo Giovanni (6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».  Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

PAROLA DEL PARROCO

Prego, prima lei!

Ci sono gesti quotidiani, almeno dovrebbero esserlo, che caratterizzano il nostro vivere insieme. Dicono saluto, dicono relazione.

Il “ciao”. Saluto che deriva dal veneziano “s’ciao” che deriva dal latino “sclavus”(schiavo). Dire ciao significa dire “sono tuo schiavo”, sono al tuo servizio. Che bello. Quando dico ciao affermo di essere pronto a fare qualcosa per te, riconosco la tua dignità (“sei un signore per me”), mi accosto a te con rispetto. Dico la mia disponibilità.

“La stretta di mano”. Ora siamo soliti stringerci la mano. Un tempo si stringeva l’avambraccio. Era un gesto di fiducia reciproca. Con questo gesto si diceva di essere “disarmati”, cioè si attestava di non avere armi nascoste sotto la manica, non uso armi contro di te, mi fido di te. Così, nel tempo, è diventato anche simbolo di alleanza. Con una stretta di mano si sigillava un contratto. Dunque atto di fiducia, di contratto, di alleanza.

“L’abbraccio”. Nell’abbraccio faccio due movimenti: allargo le braccia e poi le stringo attorno all’altro. Con il primo gesto riconosco di essere disarmato, cioè riconosco di avere piena fiducia nell’altro. Con il secondo dico la voglia di avere l’altro nella mia vita. Riconosco la sua importanza.

Facciamo sì che non sia solo una formalità. Mettiamoci un sorriso, mettiamoci calore, accoglienza, tenerezza.

Tutti questi gesti ci stimolano a una duplice riflessione: ci urlano la necessità di dar fiducia (“Prima la fiducia”) e ci aprono gli occhi sull’importanza dell’altro (“Prego, prima lei”).

Prima la fiducia. Se vogliamo costruire relazioni occorre dire: “prima la fiducia”! Tutte le relazioni (marito-moglie, amici, genitori-figli…), tutte le relazioni si basano sulla fiducia. Solo se osi dare fiducia all’altro può nascere una relazione. Perché la fiducia ti porta a dire: “L’altro ha qualcosa di buono, devo scoprirlo”. Ti porta all’ascolto dell’altro, cioè ti porta a dire: “Non capisco le sue ragioni, ma sono certo che anche lui ha delle ragioni. Devo cercarle”. Ti porta a mettere in gioco la tua parte migliore per l’altro per dire all’altro: “Mi fido di te”.

E dire: “Prego, prima lei!”. Che bello! Non è solo galateo. Significa far passare un altro prima di te, riconoscerne l’importanza. Dice la capacità di rispettare l’altro, di entrare in relazione, di ospitare, di difendere i diritti dell’altro. Purtroppo abbiamo sdoganato una mentalità che urla l’opposto. Pensate ai vari slogans che dominano la scena: “Prima gli americani, poi il resto del mondo”; “Prima gli inglesi, poi gli altri”; ”Prima gli italiani, poi l’Europa”; ”Prima gli italiani, poi gli immigrati”. Sono ormai il nostro pane quotidiano.

Sappiamo bene che la scelta di fondo è sempre tra due posizioni: “Homo homini lupus” oppure “Homo homini deus”. Da sempre le civiltà devono scegliere tra due strade: quella in cui ogni uomo è un lupo per gli altri o quella in cui ogni uomo è un dio. Dire “Prima me” significa considerare l’altro un pericolo, un nemico. Di conseguenza devo guardarlo con sospetto, devo difendermi come fosse un lupo. E si diventa tutti lupi feroci. Dire “Prima lei, prima voi” significa riconoscere che l’altro è un “dio”, è “cosa sacra”, un fratello, un “essere umano”. La prima strada genera guerra e morte. La seconda strada, pur con infinita fatica e sofferenza, genera relazioni, convivenza pacifica, vita. Amici, quale strada vogliamo percorrere?

Alleniamoci a dire più sovente: “Prego, prima lei!”.

don Claudio

Questa settimana parliamo di….

   Lunedì 12 giugno: INIZIA L’ORATORIO ESTIVO 2023!!!

Tre criteri per essere Chiesa oggi a Torino

A conclusione del cammino che le diverse realtà della Diocesi hanno intrapreso a partire dalla lettera dell’Arcivescovo alla Diocesi del 26 giugno 2022 e dalla proposta dei «Germogli» per l’ascolto sul territorio, su invito di mons. Roberto Repole, la comunità diocesana si è riunita venerdì 9 giugno 2023 presso il centro congressi del Santo Volto a Torino.

A partire da quanto emerso, ha proseguito mons. Repole, «si tratta di muovere qualche passo concreto di cambiamento della nostra presenza sul territorio; di modificare qualcosa di quel che può concorrere a tal fine; e di dare il via a qualche nuova iniziativa in questa direzione».

Ha indicato tre criteri di fondo: l’ascolto della Parola viva di Dio e la formazione; la centralità dell’Eucaristia nel giorno del Signore; la fraternità tra di noi, che si espande su tutti coloro che incontriamo.

“Sarebbe bello che rimanessero i campanili,

ma fossero banditi i campanilismi!”

mons. Roberto Repole

Festa patronale – Parrocchia Santi Pietro e Paolo Apostoli