Notizie dalle Parrocchie: La regola delle 12 “P”
Ricordo che a scuola mi avevano insegnato la “regola delle 12 P”, una regola considerata d’oro, che ancora oggi potrebbe essere utile: Prima pensa poi parla perché parola poco pensata potrebbe procurare poco piacere.
E’ una filastrocca che richiama a fare attenzione alle parole che usiamo, lo stesso invito che riceviamo dal Signore nel Vangelo di questa domenica: Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Gesù proclama con forza che non si tratta “semplicemente” di non uccidere l’altro, ma è necessario astenersi dall’ira o dalle parole ingiuriose attraverso le quali uccidiamo allo stesso modo i fratelli (“Chiunque odia il proprio fratello è omicida”, 1Gv 3,15).
Quante parole diciamo in un giorno? Sono alla base del nostro stare insieme. Ma come le usiamo? “Occorre fare attenzione all’uso delle parole, scrive Vittorino Andreoli, ponderarle, rispettarle come la cosa più preziosa che possediamo. Rappresentano il significato stesso dell’essere umano. Noi siamo parola. Ci manifestiamo con la parola, generiamo parole; la parola è l’unico dono che possiamo elargire…. E nel momento in cui la si pronuncia ed esce dalla bocca, la parola sta ad indicare che è avvenuto qualche cosa da cui non è più possibile tornare indietro… la parola fa… Ci sono parole che uccidono e parole che salvano…”. Con la stessa semplicità, esse feriscono o curano, distruggono o costruiscono, offendono o incoraggiano, umiliano o sostengono, fanno, danno o fanno danno, quando tolgono. Per questo, a volte, le parole migliori sono quelle taciute, quelle che si rinuncia a dire. In un’epoca in cui si ergono muri, si chiudono confini e non si risponde più ai bisogni dell’altro; in cui le parole si sono sciolte, prima di tutto nei giornali, alla televisione, sui social, diventando spesso di offesa, di umiliazione, di distruzione dell’altro, riaprirsi al dialogo è fondamentale. Ma dialogo autentico, sincero, che nasce da un uso corretto delle parole. Ecco perché credo sia arrivato il momento di auto-educarci all’uso della parola, al numero di parole che usiamo, alle frequenza con cui le esponiamo. La verità, invece, è che spesso parliamo senza pensare, in un tempo senza ascolto e in uno spazio caotico e senza silenzio. Il silenzio e l’ascolto servono, tuttavia, per dare un senso alle parole. Infatti la parola è un “dono che possiamo elargire”, è preziosa, è viva, è tagliente e affilata, distrugge e mortifica, ferisce e ti abbatte, ma se ben usata cura, conforta, consola, motiva e rialza…Ricordiamocelo per avere maggior cura delle parole, per imparare ad aver maggior rispetto e maggior cura delle persone e delle relazioni che intratteniamo con esse. Perché le parole dicono di noi più di quanto non sia nelle nostre intenzioni, più di quanto noi vorremmo dire. Possono dimostrare vicinanza, interesse, affetto oppure il contrario, lontananza, noncuranza e indifferenza. Possono far male. E possono, con la stessa facilità, mortificare la speranza, alimentare la solitudine, accrescere l’isolamento.
Concludo con questo racconto dei Padri del deserto. Il padre Or disse: “Se hai parlato male del tuo fratello e la tua coscienza ti percuote, va’ a inchinarti dinanzi a lui e digli: ‘Ho parlato male di te, e assicurandolo che non ti farai più beffe di lui, perché la maldicenza è la morte dell’anima”.
Dice Gesù:“Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”.
Quando io sparlo, quando io faccio una critica ingiusta, quando io spello un fratello con la mia lingua, questo è uccidere la fama dell’altro. Anche le parole uccidono, facciamo attenzione a questo” (Papa Francesco).
don Claudio