
PILLOLA DELLA DOMENICA
Il veleno
Un uomo andò da suo padre e gli disse: “Padre, non sopporto più mia moglie, voglio ucciderla, ma ho paura che venga scoperto. Mi puoi aiutare?”
Il padre rispose: “Sì, posso, ma c’è un problema … Devi fare in modo che nessuno sospetti che sia stato tu quando lei morirà. Dovrai prenderti cura di lei, essere gentile, grato, paziente, amorevole, meno egoista, ascoltare di più…
Vedi questo veleno qui? Ogni giorno ne metterai un po’ nel cibo. Così, lei morirà lentamente.”
Dopo qualche giorno, il figlio torna dal padre e dice: “Non voglio più che mia moglie muoia! Mi sono reso conto che la amo. E adesso? Come faccio dato che l’ho avvelenata in questi giorni?”
Il padre gli risponde: “Non ti preoccupare! Quello che ti ho dato era polvere di riso. Non morirà, perché il veleno era dentro di te!”
Quando nutrite rancori morite lentamente. Impariamo prima a fare la pace con noi stessi e solo dopo saremo in grado di farla con gli altri. Trattiamo gli altri come vorremmo essere trattati noi.
Prendiamo noi l’iniziativa di amare, di dare, di aiutare… e smettiamola di pretendere di essere serviti, di approfittare e sfruttare gli altri.
Che l’amore di Dio ci raggiunga ogni giorno perché non sappiamo se avremo tempo per purificare noi stessi con questo antidoto chiamato il PERDONO.

Domenica 23 Marzo 2025 – III Domenica di Quaresima – C
Dal vangelo secondo Luca (13,1-9)
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
PAROLA DEL PARROCO
È notte. Appena concluso l’incontro del corso prematrimoniale. Bell’incontro. I futuri sposi molto attivi, partecipativi. Come sempre abbiamo concluso con un piccolo momento conviviale: un dolce o un piatto tipico di qualcuno di loro. Occasione per confrontarsi, condividere preoccupazioni, sogni desideri.
Adesso sto tornando a casa, dalla parrocchia alla mia comunità. Mi sposto a piedi. Spesso più volte al giorno, percorrendo sempre la stessa strada. E’ notte, qualche luce, qualche locale aperto, persone che passeggiano. Qualcuno ha appena fatto cena o mangiato una pizza insieme.
Camminando nel silenzio della notte tanti pensieri. Lo sguardo si perde sulla strada con tante buche, asfalto rovinato, cartacce abbandonate. Qualche sguardo sui palazzi. Palazzi anonimi. Un primo pensiero: un quartiere anonimo, come tanti altri della città. Non mi sembra di essere a Torino. Non riuscivo a collegare quelle strade con la mia città. Eppure poco oltre c’è la Mole Antonelliana, il museo Egizio, piazza San Carlo, Monte dei Cappuccini, i musei reali, la Cappella della Sindone… A pochi passi ci sono opere conosciute, molto belle: le nostre chiese, il Castello del Valentino, la fontana dei 12 mesi, il bosco verticale… Sono proprio nella bellissima Torino, nella bellissima San Salvario. A questo pensiero anche quella strada “bruttina” assumeva piano piano un altro aspetto. Diventava “un pezzo di San Salvario”, un frammento del nostro bel quartiere. Così ho provato a cercare la bellezza in quel luogo. Era sufficiente alzare lo sguardo e osservare i bei palazzi, i fiori del fioraio, i dolci nella vetrina del pasticcere, i grandi portoni intagliati. Non tutti i posti sono opere d’arte, ma ogni angolo della terra, anche del nostro quartiere, nascondono frammenti di bellezza. Ora ripenso ad una citazione, sono parole di Pier Paolo Pasolini: “Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio”.
Ecco la questione: a volte non crediamo più alla bellezza e, pertanto, non la vediamo. Non basta avere gli occhi per vedere. Bisogna crederci. Desiderare. Solo chi crede alla bellezza di questo mondo ne intravede, di tanto in tanto, i frammenti. La fede ci viene in soccorso. Ci racconta che alla radice di questa terra c’è un “giardino”. Il Giardiniere piantò un giardino. E continua a fare il giardiniere, continua a curare la sua creatura. Tenace, continua a credere nelle potenzialità del giardino. Per questo posso attraversare le strade di San Salvario e cercare tracce di bellezza. Posso incontrare qualunque persona e cercare in lei tracce di bellezza. E sognare di essere capace di generare bellezza. Non sto al mondo per sopravvivere, ma per abbellire questa terra. Con un sorriso, un gesto di affetto, un lavoro fatto con passione, un aiuto gratuito, un atto di onestà. Non siamo macchine, ma giardinieri. Non siamo macchine, ma artisti. Non siamo macchine, ma creatori. Io non sono Michelangelo e neppure Giotto. Ma posso creare bellezza e regalarla. Posso abbellire il mondo. E anche tu. Abbiamo una meravigliosa missione. Proviamoci insieme.
don Claudio
Questa settimana parliamo di….

Due cuori inscindibili
per il grande amore donato all’umanità (1° parte)
La Madre e il Figlio, l’Una di fronte all’Altro: a lato dell’altare maggiore la navata laterale sinistra si apre con la cappella del Sacro Cuore di Gesù, la cui statua campeggia, all’interno di una cornice floreale rossa e dorata, sopra il ciborio. Gesù indossa una veste bianca da cui spunta il piede, come a suggerire il passo di chi muove all’ incontro; sulle spalle un manto rosso, la mano destra aperta, protesa a mostrare nel centro del palmo la ferita impressa dal chiodo, presente anche sul dorso della mano sinistra, piegata al centro del petto, puntando l’indice sul cuore che fuoriesce dalla veste. Secondo l’iconografia classica di questa devozione, il cuore sulla cui sommità arde una fiamma sormontata da una croce, sprigiona raggi di luce. Ma perché il cuore così esposto e come questa devozione si è sviluppata? Nel linguaggio biblico leb (il cuore in ebraico) rappresenta la vita umana nella sua totalità, poiché designa tutta la persona nell’unità della sua coscienza, intelligenza, libertà; è sede della sua memoria, centro di scelte, progetti, ed è organo centrale della vita interiore, “sito” interiore della presenza di Dio che qui parla, educa, giudica e abita, facendosi presente a chi gli apre il cuore, o meglio gli orecchi del cuore, poiché l’ascolto è l’azione primaria dell’uomo davanti a Dio. Il cuore è altresì il luogo delle lotte invisibili, delle passioni disordinate, dei rancori, dell’odio, di incontrollate bramosie e quando non c’è vero ascolto, da cuore di carne si fa cuore di pietra. Gesù stesso parla in più occasioni della sclerocardia che colpisce gli uomini e se ne rattrista molto, e ci ricorda: «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Nel Nuovo Testamento tre donne e due discepoli, in particolare, ci offrono dei modelli di un cuore che sa aprirsi ed ascoltare: Maria, la madre di Gesù, che conserva e custodisce le parole nel suo cuore (Lc 2,19.2-51), Maria di Betania che ascolta la parola di Gesù stando ai suoi piedi (Lc 10.39), Lidia a cui il Signore apre il cuore per aderire alle parole di Paolo (At 16,14) e i due discepoli in cammino verso Emmaus che confessano l’un l’altro: “ Non ardeva forse in noi il cuore mentre egli …ci apriva le Scritture? “ (Lc 24,32) . Se già nel Medioevo mistici come San Bernardo di Chiaravalle e Santa Gertrude cominciarono a parlare dell’amore nel cuore di Gesù, è però nel XVII secolo che questa devozione si radica e si svilupperà sino a divenire nel 1856 una Festa universale. È un gesuita, San Giovanni Eudes, a farsi apostolo in quel secolo del culto liturgico ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria, ma è soprattutto una religiosa e mistica francese, Santa Margherita Maria Alacoque, suora nell’Ordine della Visitazione fondato da San Francesco di Sales, che ne diventerà la messaggera. Nelle sue esperienze ascetiche Gesù le appare più volte e le parla. Il suo padre spirituale, il gesuita san Claude de la Colombière, profondamente convinto dell’autenticità delle apparizioni, le ordina di raccontarle per iscritto e Margherita, tutt’altro che lieta, obbedisce. “Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini”: sono le parole che Gesù rivolge a questa discepola amata ed è attraverso queste ripetute visioni che Margherita descrive l’immagine del cuore cinto da una corona di spine, più raggiante del sole, infiammato di carità e con la croce che è richiamo all’ingratitudine e indifferenza degli uomini ma, al tempo stesso, invito a riconoscere che il Signore non solo ci ama, ma soffre con noi e per noi. Il Cuore di Gesù è immagine vivente dell’amore di Dio per noi, che non è un amore distante né impersonale, ma vicino, intimo e infinitamente misericordioso, che altro non chiede che la nostra libera risposta. Margherita scrive che Gesù la sollecita a vivere l’Eucarestia ogni primo venerdì del mese, a dedicargli un tempo di Adorazione e a celebrare il Suo Sacro Cuore il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini. A noi cristiani ricambiare l’Amore con l’amore, offrire le proprie vite a servizio dei fratelli e delle sorelle, cercando una relazione più profonda, intima con Gesù per partecipare alla Sua missione nel mondo di pace e fraterna solidarietà. Al centro del paliotto un grande cuore attorno a cui sono segnate in caratteri romani le ore della giornata a ricordarci che “La Charité n’a pas d’heure” (la carità non ha un orario), come soleva dire nel secolo scorso il fondatore di Secours Catholique, mons. Jean Rodhain, sulla scia inventiva del grande San Vincenzo de Paoli.
…Continua la prossima settimana
