
PILLOLA DELLA DOMENICA
Il profumo delle Rose
Due monaci coltivavano rose. Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza e del profumo delle sue rose. Il secondo tagliava le rose più belle e le donava ai passanti. “Ma che fai?”, lo rimproverava il primo; “come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose?”. “Le rose lasciano molto profumo sulle mani di chi le regala!”, rispose pacatamente il secondo.
C’è una gioia incredibile nel donare. E anche un buon guadagno.

Domenica 30 Marzo 2025 – IV Domenica di Quaresima – C
Dal vangelo secondo Luca (15,1-3.11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
«Carità vera
se disinteressata»
Sabato 22 marzo, con alcuni membri della Comunità, abbiamo vissuto una mattinata significativa come Chiesa. Occasione di confronto e di riflessione: una tappa, non la fine, di un cammino che le diocesi di Torino e Susa hanno avviato a partire dalla lettera pastorale dell’Arcivescovo Repole «Voi stessi date loro da mangiare» e che è stata pensata come «Convegno unitario e diffuso» sotto il titolo «Nel movimento della carità di Cristo». Un convegno preparato da un lavoro articolato sul territorio in modo capillare e strutturato, che ci ha visto coinvolti con una domenica pomeriggio di riflessione insieme ad alcuni di voi. Il tema della carità, infatti, non può essere affrontato come «appannaggio» di qualcuno, ma come coessenziale alla vita di fede di ogni cristiano e di ogni comunità.
Partecipazione molto numerosa, sia in presenza che on line, salone pieno e 130 parrocchie e gruppi organizzati collegati.
Ascolto, condivisione, lavori di gruppo, guidati e stimolati dal cammino fatto nelle parrocchie e dalla relazione del monaco di Bose Luciano Manicardi. Tanti spunti, tanti stimoli, che chiedono risposte come persone, gruppi e comunità. Ne condivido alcuni. Spero che diventino occasione di crescita, di impegno e non di delega. Carità non è solo impegno della Caritas, di alcuni. Certo, è sempre importante il contributo economico di tutti, ma non è sufficiente. «Gesù nutre con parola e cibo. Non ci sono solo povertà economiche, ci sono smarrimenti di direzione, carenze di speranza che chiedono di inventare azioni di risposta». Non è sufficiente l’offerta in denaro, occorre relazione. Occorre una carità che ha occhi per vedere l’altro come persona e non come bisogno. Occorre uno sguardo che trasmette l’Amore di Cristo e per questo non umilia, sguardo che esprime una «carità che non può essere scissa dalla giustizia» perché «se la carità è amore dell’altro, la giustizia è amore dei diritti dell’altro, non sono dimensioni opposte, devono incontrarsi e questo è un nostro impegno». Carità che è anche compito profetico: «un lavoro caritativo deve valorizzare la persona, l’umano che l’altro è, e farlo uscire dalla esclusione o marginalizzazione cui sembra essere destinato il povero».
Il monaco ci ha consegnato tre parole: «immaginazione, creatività, coraggio». «Occorre insieme immaginare soluzioni che non ci sono ancora. Usare creatività per vedere le situazioni e abbozzare risposte e farlo con quel coraggio che è virtù dell’amore».
Parole che consegno a me e a ciascuno di voi. Hanno bisogno di essere tradotte in gesti concreti nelle nostre realtà. Senza dimenticare, come ha sottolineato il nostro Arcivescovo, «il grande bene che attraversa la vita delle nostre comunità»: «una bellezza di cui rendere grazie» e che fa da contraltare alla tendenza al disfattismo, alla lamentela. Accogliamo il suo invito. Riscopriamo il valore della relazione, di uno sguardo sull’altro capace di «ricomporre una unità», l’atteggiamento di «essere continuamente recettori della Carità di Cristo». Superiamo la tentazione di delegare la carità ai gruppi caritativi: loro sono segni che «rimandano a tutta la comunità, a tutta la Chiesa che o è caritativa o non è», e che la carità va vissuta «nella quotidianità sfaccettata della nostra vita». La carità riguarda tutti. Non si ferma alla quantità degli aiuti, ma in primo luogo è relazione: “Tu sei importante per me!”
don Claudio
Questa settimana parliamo di….

Due cuori inscindibili
per il grande amore donato all’umanità (2° parte)
Continuiamo la descrizione della cappella del Sacro Cuore di Gesù presentando le due statue laterali: san Francesco di Sales e santa Teresa d’Avila
E un esemplare testimone di questa carità è stato
San Francesco di Sales, la cui statua, in veste vescovile, sta alla sinistra dell’altare. Questo apostolo dell’Amore di Dio, nato in Savoia, vissuto a cavallo tra il ‘500 e il ‘600, era sempre a disposizione di chi lo cercava: dallo stile mite e pacato, usava un linguaggio comprensibile a tutti, e si serviva di volantini e manifesti che faceva affiggere o scivolare sotto gli usci che restavano chiusi, pur di annunciare la Parola e invitare alla conversione. Il suo è un cuore che arde d’amore per Gesù, che lo spingeva a farsi missionario percorrendo in lungo e in largo il suo paese, mosso dallo stesso appassionato desiderio del Suo Maestro di portare a salvezza tutte le anime. Soleva ripetere: «Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore». La sua azione pastorale, ebbe nel dialogo e nella dolcezza, nel sereno ottimismo e nel desiderio di incontro, il proprio fondamento, nella profonda convinzione che la santità fosse davvero per tutti, vocazione universale che nessuno esclude; è facile pertanto comprendere perché, qualche secolo dopo, fu fonte d’ispirazione per san Giovanni Bosco che salesiana volle chiamare la famiglia da lui fondata. Francesco di Sales è patrono del Piemonte , degli scrittori e dei giornalisti. Proclamato dottore della Chiesa, la
sua statua fronteggia quella della prima donna eletta dottore della chiesa: Santa Teresa d’ Avila. Nata in Spagna, ad Avila nel 1515, fin dalla sua adolescenza rivelò la sua vivace intelligenza e un’indole ribelle, che non si faceva domare. A vent’anni era entrata, opponendosi al volere paterno, nel Convento Carmelitano, da cui uscirà ed entrerà più volte in seguito a una misteriosa malattia che la condusse quasi a morte certa. Donna vulcanica, ebbe un travagliato percorso interiore: trovò sostegno anche nella lettura delle Confessioni di Sant’Agostino e, a sua volta, scrisse la propria autobiografia. La sua opera più celebre, tuttavia, resta “Il castello interiore”, fonte d’ispirazione e svolta nella conversione al cattolicesimo di
una grande donna ebrea del secolo scorso, oggi patrona d’Europa: Edith Stein, anche lei carmelitana scalza con il nome di Teresa Benedetta della Croce, verrà deportata ad Auschwitz dove “rimarrà unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea”, come dichiarò Papa Giovanni Paolo II.
Risuonano in noi dolcissime le parole di Teresa d’Avila :. “Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!”. A Roma il Bernini ha ritratto Teresa in una splendida statua che la coglie in estasi, mentre un angelo le trapassa il suo cuore con la punta di una freccia dorata.
Davvero questo altare esalta l’Amore di Dio per ogni sua creatura e rende presente l’Amato del Cantico dei cantici che così si rivolge alla sua donna: “ Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito con un solo sguardo”.

Don Fabio Attard
Nuovo Rettor Maggiore dei Salesiani
È l’undicesimo successore di Don Bosco, chiamato a guidare la Congregazione Salesiana e a perpetuarne il carisma al servizio dei giovani, specialmente di quelli più poveri e vulnerabili, in 136 nazioni del mondo.
Lo accogliamo con affetto e gratitudine nella certezza che saprà dare continuità alla missione educativa e pastorale iniziata da San Giovanni Bosco. In questa epoca caratterizzata da sfide di rilievo anche in ambito educativo il suo mandato possa essere faro di speranza per le opere salesiane presenti nel mondo (ad iniziare dalla presenza in San Salvario).