Il 2 ottobre si è tenuto a Valdocco il Congresso Mondiale delle Opere Sociale Salesiane: importante momento di confronto e di crescita per tutta la famiglia salesiana.

Don Gianmarco Pernice è stato chiamato a testimoniare a partire dalla propria esperienza tra le strade di San Salvario “Evangelizzazione e mobilità umana, migranti, rifugiati e sfollati. La strada come luogo di incontro e di rinascita”. Possiamo dire che a parlare, attraverso la voce di don Gianmarco, sono stati gli incontri vissuti, i volti incrociati, le voci ascoltate e le mani strette fino ad oggi nella sua missione all’interno della Casa Salesiana di san Salvario.

 

 

Riportiamo di seguito l’intero intervento:

La strada:

metafora del cammino dell’esistenza umana,

freddo e grigio asfalto, nuda terra che sostiene i nostri passi

e rievoca il forte senso del nostro andare e ritornare,

si perché la strada ti porta da qualche parte,

non puoi rimanerci, puoi sostare ma solo per ripartire.

Quando trovi qualcuno che ti affianca e ti invita a ripartire il tuo cammino è stato benedetto da un angelo che ha saputo prenderti per mano.

 

Mi chiamo don Gianmarco Pernice e l’obbedienza mi ha regalato la possibilità di vivere la missione salesiana al centro del cuore del carisma di Don Bosco nella comunità salesiana dell’opera di San Salvario a Torino accanto alla stazione di Porta Nuova.

Come tante opere salesiane anche la nostra vive in una realtà complessa.

Tre Chiese: la Chiesa del San Giovannino costruita per volere di don Bosco stesso ed inaugurata nel 1882. La parrocchia dei Santi Pietro e Paolo e la parrocchia del Sacro cuore di Maria.

Tre oratori: L’oratorio San Luigi fondato come secondo oratorio da don Bosco stesso nel 1847, l’oratorio dei Santi Pietro e Paolo e l’oratorio del Sacro Cuore di Maria. Il collegio universitario, la cappellania Filippina affidata alla cura dei salesiani già nel 1998, la comunità per 16 minori stranieri non accompagnati, un housing sociale, l’accoglienza per le famiglie afgane, un’accoglienza per donne vittime della tratta e non in ultima ma che tiene insieme tutti i pezzi, come se fosse una grande, immensa, fitta, rete di sostegno, l’educativa di strada con sede nel parco del Valentino ma che si interseca nelle vie e nelle piazze di tutto il quartiere.

 

18 anni fa l’allora incaricato dell’oratorio, passando per il Valentino assieme all’educatore, si accorse di una zona di spaccio molto frequentata, era triste vedere così tanti ragazzi anche minorenni tutti stranieri arrivati da chissà dove e chissà come, abbandonati a se stessi, in cerca di un piccolo guadagno per poter mangiare e dormire e comprarsi qualche vestito.

Si sono avvicinati a loro e subito quei ragazzi hanno chiesto: Volete del fumo? La risposta immediata fu: No grazie ma ci piacerebbe giocare con voi. Da quel giorno passo dopo passo è cominciata una relazione che si è allargata a macchia d’olio, la richiesta al comune di trasformare quel luogo in un punto di riferimento educativo, il passaparola e le continue passeggiate degli educatori per il quartiere furono tutti piccoli passi finalizzati ad invitare i ragazzi a frequentare “Spazio anch’io”: così si decise di chiamarlo. Uno spazio anche per loro, una casa anche per loro! Più passavano i giorni più si rendevano conto, ragazzi ed educatori contemporaneamente, che spesso “Casa” non è un luogo ma una persona e rincontrare quegli educatori per strada li faceva sentire finalmente a casa in una terra che continuava per loro ad essere straniera.

Al Valentino abbiamo un container che ci permette di tenere al sicuro calcetti, ping-pong, tavoli e sedie e tutto il materiale e poi tre grandi gazebo per riparaci dalla pioggia o dal sole cocente dell’estate. I ragazzi hanno chiamato un Writer per abbellire il container e hanno voluto che scrivesse questa frase: “A Torino nessun è straniero”. Questa frase pensata da loro, riassume molto bene il lavoro costante che, da allora, salesiani e laici portano avanti insieme per loro. Accoglienza dei nuovi, scuola di Italiano, sportello lavoro, sostegno per sbrigare diverse pratiche burocratiche, documenti, avvocati, collegamento con ufficio stranieri e minori stranieri, sostegno piscologico in collaborazione con il centro Franz Fanon, curriculum vitae, ricerca del lavoro, accompagnamento del ragazzo durante il lavoro, possibilità di svago e di incontri educativi significativi e poi si fa merenda.

Oggi il progetto è finanziato da Fondazione Compagnia San Paolo ed è patrocinato dal Comune di Torino. Il progetto N.O.M.I.S. vuol dire: nuove opportunità per i minori stranieri.

Per noi vivere la strada è sentirci in connessione all’interno di una rete fittissima i cui punti sostengono il ragazzo e gli danno la possibilità di ricrearsi una nuova vita. Ci siamo noi con la nostra rete interna, l’amministrazione comunale e la circoscrizione locale, i nostri enti finanziatori e gli enti partner, i volontari, le comunità per minori e per neomaggiorenni, le scuole, i datori di lavoro, l’ufficio minori stranieri e l’ufficio stranieri, le forze dell’ordine, gli ospedali, i commercianti della zona, il tribunale dei minori, il parroco e l’Imam.

Viviamo in una realtà complessa ma è una complessità che non ci spaventa, anzi ci stimola ad incarnarci nei problemi creando nuove sinergie e contaminazioni. La complessità non deve spaventare e non dobbiamo neppure pretendere di risolverla sempre e al più presto, viviamo all’interno della complessità, siamo presenti, ci stiamo dentro e i ragazzi ce lo riconoscono e a volte a loro questo basta.

La comunità educativo pastorale è ricca, diversificata e multietnica, lavoriamo insieme sviluppando processi decisionali condivisi, un cammino più lento ma fatto con lo stesso passo… o almeno ci proviamo.

A volte ci chiedono, ma in una realtà così complessa e diversificata, apparentemente dispersiva, (per spostarci da un luogo all’altro, ogni giorno facciamo quasi 15 km a piedi avanti e indietro), molto incentrata sul sociale, multietnica e multireligiosa, come fate a mettere al centro della vostra missione l’evangelizzazione?

Vi racconto una storia: un po’ prima dell’inizio del Ramadan sono andato a trovare l’Imam e gli ho chiesto consigli su come far vivere al meglio ai ragazzi della comunità e dell’oratorio questo periodo così importante. Entrambi abbiamo concordato che sarebbe stato importante per loro che non si fissassero solo sul rispetto di regole e pratiche religiose ma che avessero la possibilità di vivere un cammino più profondo di incontro vero e sincero con di Dio. Ci siamo ritrovati sul fatto che la gestione degli adolescenti riguardo alle regole, alla libertà, alle ribellioni, alle domande sul senso della vita sia identica un po’ in tutte le religioni…tutto il mondo è paese..

Iniziato il Ramadan a volte sono stato con loro la notte, altre volte li ho accompagnati in moschea e ho pregato il mio Dio con loro. Iniziata l’estate alcuni di loro hanno partecipato alle attività estive dell’oratorio e il primo giorno in cui siamo andati tutti in chiesa li ho visti un po’ titubanti nell’entrare e ho detto agli educatori di non insistere. Stavo già parlando ai ragazzi quando loro decidono di entrare tutti insieme e con mio stupore si guadagnano posti a metà chiesa. Alla fine della preghiera, durata una buona mezz’ora, sulla strada, tornando in oratorio, ho fatto loro i complimenti e li ho ringraziati della presenza, mi hanno risposto che inizialmente non volevano entrare ma poi si sono ricordati che io ero andato a pregare con loro…

Quando ero in formazione sognavo il mio futuro in una casa salesiana con un gruppo giovani che partecipa ai ritiri, un bel coro, gruppi di preghiera, una chiesa gremita di giovani la domenica e io giovane prete a incitare le folle!! Poi appena diventi prete ti accorgi che la realtà è un po’ più diversa… e forse meno male..

Ritornando alla domanda di prima, penso che sia la sfida di un po’ tutte le nostre opere salesiane: la sfida della testimonianza: credo che ci giochiamo tutta la nostra credibilità sull’identità.

Quando mi guardano chi vedono? Il dono più grande che possiamo fare ai nostri ragazzi è quello di far vivere loro delle esperienze dove ci vedano testimoni credenti e credibili, ma anche esperienze che li facciano passare da un sistema binario ad un sistema “Trinitario”. 

Dobbiamo imparare a mettere in atto esperienze concrete che mettano insieme il visibile e l’invisibile, forse per questo mi piace la strada perché certi incontri e certi miracoli te li aspetteresti solo all’interno di una chiesa, invece capitano nel posto dove meno te lo aspetti, l’altro giorno ho iniziato a confessare in piazza Saluzzo, siamo passati davanti alla moschea e ho dato l’assoluzione a fianco di Porta Nuova.

Dobbiamo imparare ad essere ricercatori di Dio, uomini di fede, lasciarci mettere  in discussione, essere in ricerca continua.

Mi ricordo una lunghissima conversazione con un ragazzo che non aveva mai conosciuto i genitori e che aveva perso la sorella nel barcone dietro di lui, li hanno visti affondare e non c’è stato nessun sopravvissuto quella volta a Lampedusa.

Non era arrabbiato con Dio ma impazziva dal dolore perché voleva capire il perché! Sinceramente non mi ricordo cosa gli ho detto ma so che alla fine ne siamo usciti a pezzi e consolati…

Non mi ricordo più chi diceva che l’intelligenza umana si muove solo davanti all’amore e alla morte. 

Eros e Thanatos sono entrambe esperienze eccedenti che non possiamo racchiudere nella semplice riflessione dell’intelligenza umana. I nostri ragazzi sono in cerca di quell’amore che non hanno ricevuto o che gli è stato privato e lo rivogliono a tutti i costi! È un urlo disperato! Con quello che dicono e con quello che fanno, ci ricordano che tutti abbiamo il diritto di ricevere e di donare amore. Lo chiedono a modo loro, a volte sono affettuosi, a volte sono violenti, mi piacerebbe una via di mezzo ogni tanto…

Sono ragazzi che hanno visto morire i loro compagni di viaggio, genitori uccisi, trucidati dalla polizia del loro paese davanti ai loro occhi, i campi di concentramento esistono ancora in Libia solo che è meglio non parlane troppo… ma quando trovi un ragazzo che ti racconta cosa vuol dire essere bendati, bastonati, violentati, lasciati soli, in mutande, per terra, al buio, per giorni e notti intere, senza cibo…

Un ragazzo una volta mi ha confidato che la notte della partenza per l’Italia lo hanno liberato mani e piedi, ancora bendato e gli hanno detto: “Ora corri veloce dritto davanti a te” e poi hanno iniziato a sparare. “Oggi sono qui! Questa per me vita nuova”. Non per tutti è andata così…

Quando hai a che fare con la morte, in un modo o nell’altro ti poni certe domande che ti cambiano dentro e se hai la fortuna di incontrare qualcuno che ti aiuti a dare un senso a tutto questo… ricordati di benedire per sempre quel giorno e ringrazia Dio per averti fatto incontrare quella persona.

L’aspetto del mistero racchiuso nell’esperienza dell’amare e del morire è anzitutto far comprendere ai ragazzi che “c’è dell’Altro”.

L’intelligenza umana si misura con il visibile e riesce a superare se stessa quando incontra l’invisibile agganciandosi al Mistero e alla Speranza. 

Noi dobbiamo essere quella speranza, noi dobbiamo essere quella eccedenza.

A proposito di esperienze eccedenti: un giorno scendevo le scale con un ragazzo della comunità che si ferma davanti alla statua di Maria Ausiliatrice, prende per mano il bambinello e mi chiede: Chi è lei? Rispondo: è Maria. Lui: Ahh”..e lui chi è? Rispondo: Gesù. Lui: Ahh! E perché sta qui? Rispondo: Per proteggervi tutti quando dormite.. e anche di giorno…Lui ci pensa un po’ e poi domanda: e perche è tutta bianca? Coloriamola no? Ripondo: Non si può colorare una statua della madonna scolpita nel marmo di carrara! Lui: non ho capito niente!… e poi continuando a scendere le scale si gira e tirando fuori un bacio dalla bocca come fa mio nipote, dice: Ciao mamma bianca!

Non penso di avergli risolto un problema di fede o di averlo convertito e tantomeno non ho risolto i miei problemi di fede. Ma quel giorno me lo ricorderò a lungo perché quel “ciao mamma bianca”  è stata una delle più belle Ave Maria che io abbia mai ascoltato…

 

La strada:

metafora del cammino dell’esistenza umana,

freddo e grigio asfalto, nuda terra che sostiene i nostri passi

e rievoca il forte senso del nostro andare e ritornare,

si perché la strada ti porta da qualche parte,

non puoi rimanerci, puoi sostare ma solo per ripartire.

Quando trovi qualcuno che ti affianca e ti invita a ripartire il tuo cammino è stato benedetto da un angelo che ha saputo prenderti per mano.