Notizie dalle Parrocchie: 3° Domenica di Avvento – Avvento, tempo di speranza

“A che ora è la messa di mezzanotte?”

Telefonata con richiesta che immancabilmente arriva alla vigilia di ogni Natale. A cui segue la solita risposta: “A mezzanotte!”. Domanda che sarà  ancor più pressante quest’anno il cui le nuove normative contro il diffondersi della pandemia ci chiedono di terminare il tutto entro le ore 22.00. Ma soprattutto domanda che nasconderà da parte di molti un fondo di polemica. Ho sentito affermare  da un autorevole esponente politico che quest’anno non sarà Natale perché Gesù non potrà nascere a mezzanotte. Ma è proprio così? Certamente una affermazione come questa dice che l’analfabetismo religioso fa parte di molti che si dicono cristiani. Infatti non abbiamo nessun documento o certificato di nascita che attesta il giorno e l’ora precisa della nascita di Gesù. Neppure i Vangeli lo dicono. Da Luca sappiamo solo che nacque di notte, perché l’annuncio ai pastori fu fatto mentre loro vegliavano il gregge.
Certo il simbolismo ci sta e affascina, ma non può in questo tempo così sofferto diventare motivo di scontro. Il 25 dicembre è il giorno in cui i popoli dell’antichità celebravano la nascita del Dio sole nascente, data che fu sostituita successivamente da quella del giorno natale dell’Imperatore. I cristiani del terzo secolo con buona ragione decisero che quella sarebbe stata la data della nascita del Messia, la vera luce che illumina ogni uomo, il vero re.

Domenica 13 Dicembre 2020 che governa le nostre vite. E, inoltre, è una tradizione solo del cristianesimo occidentale, mentre la chiesa d’oriente, ferma alla tradizione più antica, fissa il Natale nel giorno dell’Epifania. Resta per tutti il significato: “Non siamo soli, Dio non ci lascia nella nostra oscurità, vince la notte”. Il Signore non si è stancato di noi, anzi, vuole e desidera essere il Dio con noi, per noi e in noi!
Quella è notte per aprirgli il nostro cuore, la nostra vita, le nostre case, affinché Lui entri, le riscaldi con il suo calore, le illumini con la sua luce e la sua parole, le rafforzi con il suo amore. Quest’anno sotto l’albero non mettiamo i soliti regali, quelli che non ci cambiano la vita, quelli che dopo Natale sono già vecchi, fuori moda, ma mettiamo il nostro impegno ad aprire il cuore agli
altri, ad iniziare da chi ci vive accanto, familiari, parenti e amici; mettiamo il nostro impegno a far diventare concreto il nostro
amore per aiutare chi non ha nemmeno i soldi per fare la spesa, chi ancora non ha lavoro e chi lavora a dodici anni, chi dorme per strada e chi è

solo in una corsia di ospedale, chi vive lontano dal suo paese e dalla sua famiglia, chi è vittima dell’ingiustizia, chi non trova la pace del cuore, chi è solo e senza affetti, chi non ha più lacrime da versare, chi è ancora troppo piccolo per capire che gli stanno rubando i sogni e la possibilità di crescere con dignità in questo mondo malato non solo di Covid, ma dalla violenza, dai falsi valori imposti dalle leggi di un mercato che ha stravolto anche la magia del Natale, quella vera. Quest’anno facciamo in modo che la luce venga nel mondo aggiungendo un posto a tavola, alla tavola della fratellanza, del pane condiviso, della comunione tra gli uomini di buona volontà per ricostruire con il linguaggio dell’amore le nostre famiglie, la nostra città. Noi siamo con Madre Teresa di Calcutta e con Papa Francesco che ci ricordano che “ è Natale ogni volta che sorridi ad un fratello e gli tendi la mano”, ma sappiamo anche che dobbiamo ragionare su un mondo che ha preso una strada che non ci piace: quella dei pochi capitalisti che stanno bene e comandano e dei tanti che dovrebbero accontentarsi delle briciole che cadono dallo loro tavola imbandita, cioè di essere dei nuovi Lazzaro davanti alla porta di casa del ricco Epulone. Sarà sempre Natale se quelli che andavano a messa a mezzanotte, quest’anno andranno prima. Ma anche per loro non sarà comunque Natale, messa o non messa, se sarà Natale solo per loro.

don Claudio

 

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-6.19-28)
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

 

Orari celebrazioni Natalizie

Per rispettare le regole imposte dal governo italiano, in questa situazione pandemica, di mantenere il coprifuoco alle 22 anche la sera del 24 dicembre, si è dovuto variare  l’orario solito delle celebrazioni.

Pertanto l’orario delle celebrazioni nelle varie chiese, soprattutto per quanto riguarda quelle della vigilia, il 24 dicembre, ha dei cambiamenti (NB. Fare attenzioni alle S. Messe soppresse e l’orario di quella della notte!). Mentre per il giorno 25 dicembre, Natale del Signore, si seguirà l’orario festivo delle S. Messe

L’orario sarà, quindi, il seguente:

Notizie dalle Parrocchie: 2° Domenica di Avvento – Avvento, tempo di speranza

Avvento, tempo di speranza! Come viverlo al tempo del Covid.

È iniziato domenica scorsa l’Avvento,
il tempo forte dell’Anno liturgico che
prepara al Natale. Quest’anno è un Avvento segnato dalla pandemia,  dalle restrizioni, dal distanziamento fisico, dall’impossibilità di tenere “dal vivo” nelle parrocchie incontri e momenti di riflessione, dai timori anche nella partecipazione alle celebrazioni, dalle misure anti-Covid che accompagnano le Messe e la vita ecclesiale. Ma questo non fa venir meno la sua importanza.

L’Avvento «è un tempo di attesa, è un tempo di speranza» e «ci ricorda che Dio è presente nella storia per condurla al suo fine ultimo, per condurla alla sua pienezza, che è il Signore. È il “Dio con noi”, Dio non è lontano, sempre è con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore» (papa Francesco).
È il tempo dell’attesa della venuta di Dio che viene celebrata nei suoi due momenti: la prima parte del tempo di Avvento invita a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo; poi, avvicinandosi il Natale, la seconda parte dell’Avvento rimanda al mistero dell’Incarnazione e chiama ad accogliere il Verbo fatto uomo per la salvezza di tutti.
L’Avvento è poi tempo di conversione, alla quale la liturgia di questo momento forte invita con la voce dei profeti e soprattutto di Giovanni Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3, 2). Infine è il tempo della speranza gioiosa che la salvezza, già operata dal Signore, e le realtà di grazia, già presenti nel mondo, giungano alla loro maturazione e pienezza, per cui la promessa si tramuterà in possesso, la fede in visione, e «noi saremo simili a lui e lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).

In questo tempo siamo presi per mano da Maria, e la festa dell’Immacolata ce lo ricorda. Infatti, guardando all’«ineffabile amore con cui la Vergine Madre attese il Figlio, siamo invitati ad assumerla come modello e a prepararci per andare incontro al Salvatore che viene, vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode». (Paolo VI, Marialis Cultus). Papa Francesco ha sottolineato che «Maria è la “via” che Dio stesso si è preparato per venire nel mondo» ed è «colei che ha reso possibile l’incarnazione del Figlio di Dio, “la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni” (Rom 16,25) grazie «al suo “sì” umile e coraggioso». Guardiamo a lei, impariamo da lei, icona dell’attesa fiduciosa e vigilante, della disponibilità attenta e concreta al mistero di Dio.
Numerosi sono i gesti e i segni che possono accompagnare questo periodo, anche e soprattutto in famiglia, in quest’anno pandemico. La corona d’Avvento. È il segno dell’attesa del ritorno di Cristo; i rami verdi richiamano la speranza e la vita che non finisce. Inoltre il progressivo accendersi delle quattro candele, dedicate a quattro figure tipiche dell’attesa messianica (i profeti, Betlemme, i pastori, gli angeli), è memoria delle varie tappe della storia della salvezza. Il presepe. «Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Mentre contempliamo la scena del Natale siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo». (papa Francesco)
Lo stesso albero può diventare richiamo. L’albero di Natale evoca sia l’albero della vita piantato al centro dell’Eden, sia l’albero della croce, perché Cristo è il vero albero della vita. E se tra i doni posti sotto l’albero mettiamo anche il “dono per i poveri”, allora non solo rende più splendenti le nostre case ma anche i nostri cuori e le nostre vite. Buon cammino d’Avvento.

don Claudio

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 1,1-8)

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Concorso: Presepe in Famiglia

CONCORSO: PRESEPE IN FAMIGLIA

Il presepe ci tiene uniti e ci fa respirare aria di festa. Vivremo a OCCHI APERTI il Natale del Signore, lasciamo che anche l’opera del presepe, costruito insieme, ci possa stupire e meravigliare e, magari, aprirci al sorriso, in un momento ancora molto preoccupante per tutti.

E’ invito a riscoprire la magia del presenze e lasciarlo parlare alle nostre vite e a quelle delle nostre famiglia, per rimettere al centro il Signore Gesù, il protagonista del Natale.

REGOLAMENTO:

  • Realizzatelo insieme, in famiglia, secondo la vostra fantasia.
  • Fate un video, max. 20 secondi (panoramica tenendo il cellulare in orizzontale e non in verticale) e/o foto (max 4 foto).
  • Inviate tutto, entro il 23 dicembre 2020, via WhatsApp n° 366 7763557 e/o via mail: parroco@donboscosansalvario.it

Ci sarà un premio-ricordo per tutti (premi speciali per i più significativi).

Notizie dalle Parrocchie: 1° Domenica di Avvento – Nuovo messale: ecco cosa cambia

 

Dal vangelo secondo Marco (Mc 13,33-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

 Accendere il cervello, rimboccarsi le maniche.

Tempo strano questo della pandemia, particolare. Fa specie dover vivere isolati, non poterci incontrare, nemmeno con gli affetti cari. Vedere molte attività sospese! Mattia Feltri ha commentato: “Quando il mondo cambia e ci atterra, le possibilità sono due: piangere e ribellarsi oppure accendere il cervello e rimboccarsi le maniche. Nel primo caso si fa rumore, nel secondo ci si salva la pelle”. (La Stampa, 19/11/2020). Verissimo.
Nelle difficoltà molti hanno la tendenza al vittimismo, oppure sfogano il dolore con la rabbia. Molti cercano il colpevole. Altri passano il tempo a cercare i manovratori occulti, le corporazioni segrete, gli spiriti maligni, i potenti nascosti. Spesso accade così in questo tempo difficile: brontoliamo e ci avveleniamo, ma soprattutto avveleniamo il nostro animo e versiamo tristezza e malumore sugli altri.
Invece è il tempo di “accendere il cervello e rimboccarsi le maniche”. E questo soprattutto come cristiani. Il nostro atteggiamento deve essere diverso. Non si tratta di essere ingenui, ma fiduciosi. L’ingenuo non vede i guai; il fiducioso li vede benissimo, ma sa guardare oltre. Occorre accendere il cervello, cioè accorgersi che è questo il momento di riaccendere speranza. Questo è il momento di farsi santo! Non altri.
Una parola di san Paolo può e deve risuonare forte in questi giorni: “del resto noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rom 8,28). Non dobbiamo aspettare tempi migliori.
Ci è offerto un tempo favorevole, prezioso: l’Avvento. E’ tempo da vivere con  entusiasmo. Anche se, per assurdo, fossimo tutti malati, Natale ci sarà comunque.  L’evento ci sarà. “Ecco, viene il Signore”, è la “bella notizia”. Il Signore ci viene incontro. Gesù nasce per noi, si fa incontro, ci parla, si promette a noi, desidera essere compagno della nostra vita, essere nostra luce. E’ il tempo di “cambiare faccia”! Dalla faccia della preoccupazione alla faccia della fede. Il tempo, quindi, di “rimboccarci le mani”, cioè di preparare questo incontro. Iniziamo da oggi. Ad un alto prelato che gli chiedeva “come si fa in questi tempi così difficili? Cosa possiamo fare come Chiesa?”, Madre Teresa rispose: “Cominciamo noi due!”. Cominciamo noi! Domenica 29 Novembre 2020

Il Vangelo propone due atteggiamenti, che debbono e possono essere gli atteggiamenti di questo avvento: fare attenzione e vegliare.
Attenzione per non far diventare la nostra fede un francobollo appiccicato il giorno del Battesimo, ma rimasto lì inutilizzato. Attenzione per darci una mossa e abbandonare la tentazione della pigrizia, della superficialità. Attenzione per sfuggire al Natale finto dei buoni sentimenti, e lasciarci interpellare dal Dio che irrompe dentro la nostra storia. Attenzione per dare ordine alla vita, per stabilire priorità e imparare a scegliere nella logica di Dio. Attenzione per riconoscere il volto di Dio in quello dei fratelli, nelle loro parole, nelle loro ricchezze. Attenzione alle piccole cose di ogni giorno, ai piccoli gesti di
accoglienza e di servizio con cui Dio ci chiama ad amare i fratelli. Il secondo è vegliare. Vegliare per non farci prendere dal sonno, per essere pronti ad accoglierlo, a fargli spazio. E tutto questo deve diventare attesa attiva, che deve diventare preghiera. Più forte deve essere il nostro pregare, il nostro affidarci a Lui. Vegliare che diventa impegno, che diventa testimonianza. Lo ricorda San Paolo, non possiamo tenere per
noi i doni che Lui ha riversato nella nostra vita, ma dobbiamo farli diventare dono per gli altri, farli diventare servizio, annuncio, testimonianza. Impariamo da Maria. In questo ci deve essere da guida. Lei realmente ha saputo stupirsi di fronte all’offerta, alla proposta di Dio, ma ha anche saputo trasformare questo stupore in preghiera, in vita vissuta in pienezza. Affidiamoci a Lei, esperta dell’Avvento.

don Claudio

La nostra comunità ricorda don Italo Spagnolo

E’ mancato ieri sera il salesiano sacerdote don ITALO SPAGNOLO della Comunità Salesiana del San Giovannino.

E’ mancato all’Ospedale Gradenigo di Torino, dove era ricoverato dal 12 novembre per una polmonite bilaterale, dovuta al Covid.

Era giunto in mezzo a noi a San Salvario nel gennaio del 2019 dalla Nigeria, dove dal 1982 svolgeva la sua opera come missionario, per delle cure che doveva fare.

Era nato il 16 maggio 1941 a Trivero (Biella). Salesiano dal 1958 e sacerdote dal 1968.

Molti l’hanno conosciuto per il suo servizio sacerdotale pastorale nelle nostre parrocchie, in particolare al Sacro Cuore di Maria. Sempre molto disponibile, affabile, dolce, ma anche competente e preparato.
Ricordiamolo nella preghiera.

In questo video, girato da qualche mese, don Italo racconta come è nata la sua vocazione e come don Bosco l’abbia inviato in Africa per un nuovo Valdocco africano. Con le lacrime agli occhi ha condiviso uno dei suoi più bei ricordi legati alla nuova missione che aveva aperto in Africa “La cosa più bella che ho vissuto… è vivere Valdocco agli inizi. Don Bosco diceva “con i giovani mi trovo bene”… e con i giovani nigeriani ci si trova ancora meglio!”

 

Grazie don Italo per la tua vita, vera testimonianza cristiana e salesiana!

 

 

Notizie dalle Parrocchie: “Promossi o bocciati?”. È la domanda da farci, oggi come cristiani.

“Promossi o bocciati?”. È la domanda da farci, oggi, solennità di Cristo Re, come cristiani. Siamo al termine di un anno liturgico, anno strano, segnato dall’incertezza e spesso dalla paura per questo coronavirus che ci ha tenuto compagnia. Ma il Signore
non ci ha abbandonato, è rimasto al nostro fianco, ci ha guidati con le sue parole, in particolare quelle del Vangelo di Matteo. Inviti per vivere in modo autentico il nostro battesimo ne abbiamo avuti molti! Ci ha parlato di talenti da investire e far fruttare; di olio da mettere nelle nostre lampade; di essere terreno buono che accoglie e fa crescere la sua parola. Ci ha parlato di Lui, del suo agire, del suo modo di farsi prossimo, del suo stile di amare, fino a dare la vita per le persone amate.
E oggi al termine di quest’anno, mentre festeggiamo il nostro Re-servo, ringraziandolo per averci accompagnato nel cammino di fede, come alla fine di un anno scolastico, siamo chiamati a tirare le somme. Infatti la pagina del Vangelo è un discorso che suona molto da bilancio consuntivo, come da fine anno. E non solamente di un anno con lui, ma di una vita con lui, da cui emerge la domanda: “Promossi o bocciati come cristiani davanti a Dio e davanti ai fratelli ?”. L’esito dipende da noi! Non possiamo dire, come
spesso fanno gli allievi: la colpa è degli insegnanti, della scuola… La colpa è di chi non si è applicato tutto l’anno, o di chi si è accontentato del minimo sindacale. E così la colpa non è di Dio! Non è lui che esclude dal suo regno, non è lui che caccia fuori da casa chi vi entra indegnamente. Certo, è lui che “separerà le capre dalle pecore”, ma che tu sia capra o pecora, che tu sia un pesce buono o un pesce cattivo finito nella rete del pescatore, che tu sia zizzania o grano buono, quello dipende solo da te, dalle tue opere. Cioè, da quanto hai amato Dio e i fratelli. “Alla sera della vita, ciò che conta è aver amato”, diceva già nel XVI sec. san Giovanni della Croce. Il Vangelo, ancora una volta, ci offre la ricetta dell’Amore autentico, e la ripete sia ai “benedetti dal Padre mio” che ai “maledetti”. Ed è autentico se diventa vita. Se la sua Parola, che abbiamo ascoltato, si sarà trasformata in pane per chi aveva fame, in acqua per chi aveva sete, in accoglienza per chi era straniero, in vestiti per chi era nudo, in conforto a chi era malato, in visite a chi era carcerato.
E’ invito ad amare con i fatti. Ancora una volta l’invito non è “non fare il male”, questo è scontato, è ovvio!, ma “fare il bene!”. Non basta, quindi, giustificarsi dicendo “io non ho mai fatto del male a nessuno”. Perché si fa del male anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra, con il non impegnarsi, con l’essere indifferenti.
Facciamo diventare concreto questo amore. Iniziamo dalle nostre case, iniziamo da chi ci vive accanto. In famiglia accogliendoci, servendoci, rispettandoci, perdonandoci. Con
gli altri soprattutto i più deboli, fragili, poveri: una visita ad un malato, una telefonata ad una persona sola, un piccolo servizio al vicino di casa, un’ attenzione al povero. Di occasioni ne abbiamo tante. Anche i piccoli gesti sono importanti. Promossi o bocciati, come cristiani? Forse ci sentiamo un po’ tutti rimandati “a settembre”?

don Claudio

 

Dal vangelo secondo Matteo (Mt 25,31-46)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?. E il re risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?. Allora egli risponderà loro: In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

Notizie dalle Parrocchie: Giornata mondiale dei poveri

 

Dal vangelo secondo Matteo  (Mt 25,14-30)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

    

Al centro della Parola di Dio la “Parabola dei talenti”.
Il Signore riempie la nostra vita di doni, di “talenti”. Pensiamo ai più grandi: il dono della vita, del suo Amore, che per noi si fa cibo, perdono, parola, forza. Tocca a noi riconoscerli. Troppe volte diamo tutto per scontato, come con i fratelli: “tutto scontato, dovuto”. Tocca noi dire grazie. Ma soprattutto tocca a noi valorizzarli, farli fruttificare! Tocca a noi scegliere cosa fare di questi talenti, cioè scegliere che uso fare della nostra vita. Possiamo sprecarli e usarli come uno sfogo, per soddisfare i nostri capricci ed egoismi, per poi buttarli via dopo averli usati … rimanendo sempre insoddisfatti e delusi. Possiamo nasconderli e accontentarci del minimo indispensabile e poi lamentarci di tutto e tutti. Oppure possiamo usarli, valorizzarli per costruire la casa della nostra vita, dove niente si butta e tutto trova un posto, si aggiusta, ricomincia.
Certamente, e il Signore nel Vangelo ce lo ricorda, questi talenti non ci sono stati dati per sotterrarli, nasconderli e poi lamentarci.
Papa Francesco aveva appeso alle porte del suo ufficio un cartello, che dovremmo appendere tutti alle porte delle nostre case, con scritto “Vietato lamentarsi”, contro quella che possiamo definire una sindrome da vittimismo: “tutti ce l’hanno con me!”, “chi me lo fa fare, accontentiamoci, lamentiamoci!” che diventa incapacità di risolvere i problemi. “Smettila di lamentarti e agisci per cambiare in meglio la tua vita”.
Perché tocca a noi decidere che cosa vogliamo fare della nostra vita! Di quel “terreno” che ci è stato dato in affitto per la nostra vita. Ricordiamocelo: tutto quello che abbiamo, anche le nostre doti, non è nostro, è ricevuto. Ecco i talenti: un talento è un’unità di misura che equivale a oltre venti chili d’oro puro, un valore enorme! Questo terreno possiamo trasformarlo in un frutteto, un orto, una vigna, un roseto o lasciarlo un campo incolto.
La nostra storia è sottoposta a un discernimento, noi scegliamo ogni giorno, o meglio, dovremmo farlo. È la differenza fra lasciarti vivere dalle giornate, dalle urgenze delle circostanze esterne e delle richieste degli altri, oppure decidere tu cosa far entrare nel tuo tempo e cosa no. Ma anche talenti affidati per metterli a servizio degli altri. Così certamente diventeremo più ricchi noi e gli altri.
Si racconta che in Africa si incontrarono un giorno Raoul Follereau e il dr. Albert Schweitzer (premio Nobel per la pace nel 1952). Si trovarono a discorrere amabilmente delle cose di Dio, quando a un certo punto Follereau chiese al dr. Schweitzer: “Senti, se ti capitasse di incontrare improvvisamente Gesù su una di queste povere strade africane, che cosa faresti?” – Il medico ebbe un momento di esitazione, poi gli rispose: “Cosa farei? Abbasserei la testa per la vergogna…abbiamo fatto così poco di quello che ci ha comandato per i nostri fratelli poveri!”. Anche noi abbiamo fatto ancora troppo poco con il capitale d’amore che Dio ci ha donato. Rimbocchiamoci le maniche e, finché c’è tempo, impieghiamolo per amare!
don Claudio

 

Domenica 15 novembre 2020
Giornata mondiale dei poveri,
”Tendi la tua mano al povero” (Siracide 7,32).

Una Giornata per rimettere al centro il povero, ma non per buonismo. Una giornata per riflettere e pregare, non centrata su raccolte di fondi. Questa è la Giornata mondiale dei Poveri, che il 15 novembre tutte le comunità parrocchiali e religiose, le famiglie e i singoli sono invitate a celebrare.
«La Giornata», spiega Pierluigi Dovis, direttore della Caritas di Torino, «è l’occasione per ricordarci che siamo Chiesa nella misura in cui siamo servitori dei poveri, riconoscendo in loro la presenza del Signore: serviamo loro per servire il Signore». Dal riconoscere la centralità del povero la Giornata diventa anche invito a riflettere su quali azioni si possono compiere, ma soprattutto su quali relazioni si possono instaurare. «Quest’anno l’emergenza Covid», prosegue Dovis, «rende più complicato il concretizzare la prossimità con un invito a pranzo come si proponeva in passato, ma la Giornata può essere l’occasione per fermarsi ad analizzare quale posto occupa il povero nella vita di ciascuno e per offrire la preghiera come azione di carità».
Una Giornata infine per domandarsi anche chi sono i poveri, uscendo dagli schemi di chi li identifica come senza dimora o questuanti: «Riconoscere la povertà di relazioni, la povertà di senso, la fatica spirituale che toccano le persone intorno a noi», conclude, «è un passo importante per andare incontro nel quotidiano alla sofferenza di tanti, a quelle sofferenze per le quali non è solo o non è tanto l’aspetto economico a pesare, e per le quali è proprio il tendere la mano, il farsi prossimo con la propria umanità e persona, il passaggio da compiere».

Notizie dalle Parrocchie: commemorazione dei fedeli defunti

 

E’ il giorno in cui la Chiesa ci invita a ricordarci dei morti, di “tutti” i fedeli defunti (cioè di coloro che hanno creduto in Dio). E’ il giorno in cui in particolare facciamo memoria dei nostri cari, per rinnovare i sentimenti di riconoscenza che dobbiamo loro. Ma ricordarli da credenti significa anzitutto ringraziare il Signore per la vita che ha donato loro, per tutte le grazie che essi hanno ricevuto da Lui.

 

Ringraziarlo per tutto il bene che essi hanno fatto nella loro vita ed essere riconoscenti al Signore per tutto il bene che essi ci hanno donato. E ciò è sottolineato anche da alcuni segni che esprimono il nostro affetto nei loro confronti, quali la visita al cimitero, la deposizione di fiori, la cura che mettiamo nel mettere in ordine le tombe. Ricordo che ci mette anche davanti al mistero della morte. Tocca tutti! Qualche persona cara: marito, moglie, figlio, figlia, un amico, un conoscente. Toccherà anche a noi! Anche se spesso preferiamo non pensarci. Mistero che per noi cristiani è illuminato dalla fede nel Signore Risorto e quindi da fiduciosa speranza nella promessa di Gesù Cristo, “Io sono la risurrezione e la vita”, per cui, come ci ricorda San Paolo, “il cristiano non muore, la sua vita è trasformata!”. La morte non è l’ultima parola sulla sorte umana, perché l’uomo è destinato ad una vita senza limiti che ha la sua radice e il suo compimento in Dio. Speranza che diventa certezza per il cristiano, perché anche noi chiamati a risorgere come Cristo è risorto; ma soprattutto dice a noi che la morte non separa, ma riunisce presso Dio e in Dio. Soprattutto un ricordo che si fa preghiera. E’ il ricordo più bello! Sant’Agostino diceva: «una lacrima per i defunti evapora, un fiore sulla tomba appassisce, una preghiera, invece, arriva fino al cuore dell’Altissimo». E la tradizione della Chiesa ha sempre esortato a pregare per i defunti, in particolare offrendo per loro la celebrazione dell’Eucarestia. È il miglior aiuto spirituale che possiamo dare alle loro anime, soprattutto alle più abbandonate, proprio per quella comunione al Corpo Mistico della Chiesa di cui ognuno di noi è parte viva e, come tale, responsabile anche delle altre membra, degli altri, vivi e morti. Ma fede, speranza, certezza fanno sì che il ricordo diventi impegno. L’incontro con la morte, che san Francesco chiamava “sorella morte”, che è incontro con l’abbraccio misericordioso, pieno di affetto e di amore del Padre, è un incontro da preparare fin da oggi, con il nostro impegno, la nostra conversione continua di ogni giorno. Significa accogliere la parola di Cristo, riconoscere il proprio peccato, rimettersi umilmente in cammino, illuminati e guidati da questa Parola e attraverso la nostra vita di cristiani vissuta in pienezza nell’amore verso il Signore e verso i fratelli, attraverso l’attenzione, il servizio, la disponibilità, l’accoglienza e il perdono vicendevole.

don Claudio

 

 

Notizie dalle Parrocchie: perchè far celebrare le Messe per i defunti?

 

 

Ci avviciniamo alla festa dei Santi e alla Commemorazione dei cari defunti. E’ il momento del ricordo,  per rinnovare i sentimenti di riconoscenza, gratitudine verso di loro, che significa anzitutto dire grazie al Signore per la vita che ha loro donato, per tutte le grazie che essi hanno ricevuto da Lui, per tutto il bene che essi hanno fatto nella loro vita, ma anche riconoscenza per tutto il bene che essi ci hanno donato. Ma questo è anche  il momento in cui da molte persone giunge la domanda: “Perché far celebrare le Messe per i defunti?”.

Provo a rispondere.

 

Già nell’Antico Testamento si parla della preghiera per i defunti affinché “siano assolti dai loro peccati“; ciò a proposito di soldati morti in battaglia tra le cui vesti erano stati trovati oggetti rubati. Questo passo (dal secondo libro dei Maccabei 12,45) è uno dei pochi  riferimenti dell’Antico Testamento. La Chiesa però, fin dagli inizi, ha sempre favorito la preghiera in suffragio dei defunti come espressione di un legame d’affetto nella fede che ci lega a quanti sono morti. Sant’Agostino, nelle Confessioni, la sua autobiografia, riferisce questo episodio:  sua madre, Santa Monica, prima di morire gli aveva raccomandato: “Seppellite pure questo mio corpo dove volete, senza darvi pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, dinanzi all’altare del Signore“. Era il 27 agosto 387, quindi nel primo periodo dell’era cristiana.

Quando moriamo e ci presentiamo davanti a Dio, possiamo vivere per sempre con lui. Ma se in noi ci sono ancora tracce di egoismo, di invidia, di gelosia, in una parola di “non-amore”, abbiamo bisogno di essere purificati, di fare cioè “pulizia” di ciò di cui nostri peccati lasciano traccia nel nostro spirito. Abbiamo chiamato questo stato con il nome di purgatorio, che non è un luogo immerso fra le nuvolette, a metà strada fra la terra e il paradiso, dove si chiacchiera e si beve il caffè come mostra una pubblicità.

Questa “pulizia” può essere anticipata in vita con le preghiere, le opere di misericordia corporale e spirituale, l’affrontare con pazienza e rassegnazione le sofferenze  e i contrattempi della vita.

Con la morte i giochi sono fatti, non possiamo più pregare  o fare altro per noi stessi. Nell’aldiquà però chi è vivo può aiutare (= suffragare) i defunti in questa eventuale  opera di purificazione. Come? Destinando ad essi quello che -scrivevo sopra –  si può fare per se stessi quando si è in vita.

La nostra preghiera può aiutarli. Anche san Paolo in una sua lettera dice che è un gesto salutare. Chiediamo al Signore di perdonarli di tutto il male commesso e di accoglierli nel suo Regno di pace e di giustizia, il più in fretta possibile… anche se in cielo non credo che esistano gli orologi, il presto o il tardi non sono categorie che gli appartengono!

In particolare, l’azione più grande ed efficace è la Messa, nella quale Gesù, unico mediatore, intercede presso il Padre celeste per  i viventi e i defunti; Egli, che ha affrontato e vinto la morte ed è il Vivente. Egli ha preso su di sé tutti i peccati, di tutti gli uomini, viventi o defunti che siano. Ogni Messa è sempre il rinnovarsi della Pasqua di Morte e Resurrezione di Gesù Cristo.

In Lui, spiritualmente, ci mettiamo in relazione  con i nostri  cari viventi o defunti. È un dono che viene elargito per questi fratelli nella speranza, ossia nell’atto dell’affidarsi al Dio fedele ed affidabile, Colui che non abbandona la nostra vita nel sepolcro (cf. Sal 15).

È proprio all’interno di questa assoluta gratuità che – e non appaia contraddittorio – si deve collocare il significato e il valore dell’eventuale offerta economica per la celebrazione. Essa non è il “pagamento” della Santa Messa che altrimenti si ridurrebbe ad un servizio religioso remunerato, bensì un segno che rafforza la gratuità del dono. L’eventuale offerta in denaro non paga il servizio, ma ne è segno, è un modo “umano” per dichiarare che quell’atto d’amore coinvolge veramente colui che dona. L’amore alimenta sempre l’amore, in qualsiasi forma concreta e storica si esprima.

don Claudio